Marotta: “I colpi da 100 milioni non puoi farli ogni anno”

La lunga intervista di Beppe Marotta a “Il Giornale”: definisce la cessione di Pogba una “realizzazione professionale” e giura amore eterno alla Juve

Beppe Marotta, ad e dg dell’area sport Juve, ha rilasciato una lunga intervista al ‘Giornale’. Numerosi gli argomenti trattati dall’ex dirigente di Samp e Varese, che parte dallo storico connubio tra la famiglia Agnelli e il club bianconero: “Avere una famiglia così longeva alla guida del club significa senso di appartenenza. Un Agnelli alla presidenza è un valore aggiunto. Andrea Agnelli ha creato un modello vincente. Il core business è fare calcio. Ma devi avere alle spalle una squadra invisibile che ti supporti in tutto. Lui è stato lungimirante – sottolinea – , con due principi: la competenza e la delega. E tutto alla Juve è volto alla vittoria”.

Al momento è indiscutibilmente il padrone del mercato italiano, ma anche a livello internazionale la Juventus è tornata a contare grazie a Marotta. Che però non vuole illudere nessuno: i colpi da 100 milioni non si possono fare sempre.

“Per Higuain si è creata un’opportunità d’uscita dal Napoli in un momento storico in cui noi abbiamo ritenuto di fare quell’investimento. Ma non si può pensare di farlo tutti gli anni. Non c’è un Pogba da vendere ogni anno? Quel trasferimento l’abbiamo chiuso prima della definizione del passaggio di Paul allo United, che era comunque prevedibile e ovviamente ha facilitato l’affare del Pipita”.

Ogni anno la Juventus vende qualche pezzo da novanta, però, alcune volte per naturale ricambio, altre volte perché è il diretto interessato a mettersi in testa di cambiare aria a tutti i costi. Esempi lampanti sono quelli di Dani Alves e Bonucci.

“Quello del brasiliano. Fulmine a ciel sereno. Lui ha fatto una scelta che sembrava essere il City, poi è arrivato il Psg. C’è stato un momento di contrasto, perché ho fatto valere il rispetto del professionista nei confronti della Juventus. Bonucci? Premetto che l’allenatore non è la causa. Eravamo preparati perché nelle discussioni che normalmente si fanno erano emerse delle insoddisfazioni del giocatore. Perché la Juve ogni anno si ritrova a costruire e smontare il giocattolo? È una sfida. Ovviamente da una parte c’è sempre attenzione alle esigenze finanziarie, ma dall’altra si vuole ottenere il massimo dei risultati sportivi. È mancata solo la ciliegina, ma gli scudetti e due finali Champions in tre anni promuovono i mercati fatti. I tre colpi di Marotta? Casiraghi venduto alla Juventus di Boniperti: il segno del destino. Cassano portato alla Sampdoria dal Real Madrid: emozione pura perché si trattava di recuperare un talento. L’affare Pogba al Manchester United: la realizzazione professionale”.

Intanto qualcuno continua a criticare Marotta e la dirigenza bianconera per l’acquisto di Matuidi: troppi i soldi spesi per un calciatore esperto ma non propriamente un ragazzino?

“Non sono d’accordo – replica il dg bianconero – . Venti milioni più bonus per un giocatore integro fisicamente che aggiunge personalità sono sostenibili. Se si pensa che abbiamo venduto Bonucci a quaranta. La prossima estate priorità alla difesa? C’è Caldara, ma la carta d’identità dice che qualcosa va fatto. E lo faremo. Sono convinto che se vuoi vincere in Italia lo zoccolo duro deve essere sempre costituito da italiani. Quando vanno sui campi di provincia, gli stranieri fanno fatica a capire che contro la Juventus ogni squadra esprime sempre il massimo. Se questa è la mia Juve più forte? Si dice sempre che l’ultima è la più forte. Io dico che questa è la squadra più equilibrata. Qual è il potenziale espresso finora dalla squadra? Siamo al settanta per cento”.

Fondamentale, per il lavoro di Beppe Marotta, la presenza di Fabio Paratici, direttore sportivo con il quale ormai collabora da tanti anni con soddisfazione reciproca.

“Io parlo sempre al plurale perché condivido il merito con i collaboratori. Ho l’orgoglio di dire che Paratici, il direttore sportivo, è una mia creatura. Il mio futuro? Il mio percorso non è finito. C’è questa sfida di volere a tutti i costi arrivare alla Champions. Poi non mi vedrei in un’altra società; quando Agnelli lo vorrà, mi vedo in ambito federale”.

Poi, il dirigente bianconero tocca alcuni temi d’attualità nella stagione in corso.

“Il Napoli gioca meglio? Ogni squadra ha un suo dna. La Juve è quel calzettone strappato che Boniperti aveva in ufficio. Champions? Dipende da molti fattori. A Istanbul siamo stati eliminati perché ha nevicato. Ma negli ultimi anni ha vinto sempre quella che ritenevo la squadra più forte. Noi comunque abbiamo l’obbligo di vincere. Siamo costruiti per lo scudetto, non conquistarlo sarebbe una sconfitta. Non temiamo il Var, anzi può legittimare le nostre vittorie. Ad esempio noi abbiamo già tirato gli stessi rigori – tre – della scorsa stagione. Poi li abbiamo sbagliati…”

Da oltre tre anni, Marotta lavora a stretto contatto con un allenatore, Massimiliano Allegri, con cui c’è una totale sintonia.

“La qualità principale di Allegri? La società viene prima di tutto. Nella classe dirigente considero anche l’allenatore, che deve essere coerente con la linea aziendale: allenatori che non lo sono, alla Juve non troverebbero spazio. Allegri si concilia alla perfezione con il nostro modello”.

Il caso Dybala? Marotta lo spiega in pochissime parole:

“Non ha avuto il tempo di essere talento: è diventato subito campione. E se fa cose normali viene bocciato. Come società dobbiamo essere bravi a supportarlo”.

Inevitabile, infine, parlare delle vicende che hanno coinvolto la Juventus a livello di giustizia sportiva: l’ultimo è il caso ultras con l’inibizione per un anno di Andrea Agnelli.

“Alla fine dell’indagine della magistratura ordinaria e dopo la sentenza di primo grado della giustizia sportiva, è emerso che nessun dirigente della Juve era colluso con la ’ndrangheta. Era una spada di Damocle che siamo riusciti a sconfiggere. Ma manca una legge sul bagarinaggio. I forti generano sempre invidia. Si è galoppato sulla cultura dell’invidia così come non c’è la cultura della sconfitta”.

Infine, sul possibile futuro in dirigenza di Gianluigi Buffon, che si ritirerà a fine stagione, e di Andrea Pirlo, che le scarpette al chiodo le ha già appese qualche giorno fa.

“Per me uno è campione quando saluta una società e lascia qualcosa in positivo, da cui imparare. Loro lo hanno fatto. Poi spetta al presidente decidere. Non c’è il rischio di una Juve ingrata con gli ex? No, questo no. Il calcio è fenomeno sportivo ma anche di business, servono competenze importanti. Siamo passati da associazioni sportive, date in gestione per riconoscenza anche ad ex giocatori, ad aziende. Poi ritengo che ogni società debba avere ex campioni che riescano a trasmettere un messaggio vincente. Noi abbiamo Pavel Nedved vicepresidente”, conclude.