19 maggio 2010: Andrea Agnelli diventa ufficialmente il nuovo Presidente della Juventus. La Torino bianconera inizia così finalmente a rivedere la luce, dopo gli anni terribili e logoranti dei vari Secco, Blanc e Cobolli Gigli (eccola, la classica fitta al cuore quando tento di rievocare quel periodo). Marotta e Paratici in dirigenza, e dall’ottobre dello stesso anno anche Pavel Nedved, con Luigi Del Neri in panchina. Insomma, una stagione di transizione, una squadra creata in fretta e furia, per tentare di ripartire nel minor tempo possibile e di “tappare i buchi” creati dai predecessori (altra fitta, immancabile). Un’annata terminata con un deludente settimo posto, ma con l’esonero del tecnico bianconero arrivato solo al termine della stagione, nonostante tutti ne chiedessero la testa a campionato in corso. Andrea Agnelli, però, non ascoltò nessuno e proseguì con l’ex allenatore della Sampdoria fino a maggio, facendo capire a tutti la netta inversione di rotta rispetto a chi, solo un anno prima, aveva esonerato Ciro Ferrara per sostituirlo con Alberto Zaccheroni (terza fitta, spero di riuscire a terminare l’editoriale).
Poi la scelta di Antonio Conte (che in quel periodo fece discutere, per la scarsa esperienza dell’allenatore pugliese) e un obiettivo fisso: il recupero della juventinità andata perduta, come tramite per far sì che Torino tornasse a essere la patria del calcio italiano, dopo anni in cui era stato il capoluogo lombardo a dominare la scena. Come dimenticare, a tal proposito, il discorso da brividi all’inaugurazione dell’allora Juventus Stadium, guidato da un senso di appartenenza in grado di far capire a tutti, fin dal primo istante, che quella squadra stava per tornare laddove era sempre stata.
E poi i successi, tanti, tantissimi, e il numero di Scudetti mostrato con fierezza all’esterno dello stadio (il numero giusto, nonostante il conteggio della FIGC e degli “esperti”), senza tralasciare le lotte per ottenere quei due titoli revocati, tanto per far capire che la posizione della società sull’argomento non sarebbe mai stata neutrale o passiva.
Ma è nei momenti di maggiore criticità che Andrea Agnelli ha fatto capire a tutti di avere gli attributi. 14 luglio 2014, tardo pomeriggio di una caldissima giornata di mezza estate. In tv, un Antonio Conte abbronzatissimo annuncia le dimissioni da allenatore della Juventus, al secondo giorno di ritiro. Se in altre società un simile fatto avrebbe potuto rovinare un’intera stagione e avrebbe gettato il club nella disorganizzazione più totale, il Presidente bianconero è stato invece in grado di mantenere il sangue freddo e di chiamare alla corte della Vecchia Signora tale Massimiliano Allegri, a quel tempo poco gradito dal popolo bianconero per le famosissime lamentele sul goal di Muntari di due anni e mezzo prima (che poi diciamocelo, non aveva tutti i torti). Sarò sincero, anch’io non apprezzai particolarmente quella scelta, e la considerai all’epoca quasi folle… già, ma io non sono il Presidente della Juventus, per fortuna. Uova contro il pullman, cori contro il tecnico toscano, la prima amichevole stagionale terminata 3-2 in favore dello sconosciuto Lucento, e tanta paura di aver messo fine a un ciclo di successi durato tre anni.
Andrea Agnelli, però, ha avuto ragione ancora una volta: 5 Scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Supercoppe e due finali di Champions League (ok, perse entrambe, ma non mi sembra che anche senza Allegri la Juventus abbia mai avuto un buon rapporto con la Coppa dalle grandi orecchie, specie nell’atto conclusivo).
A proposito di Massimiliano Allegri, dopo la cocente delusione contro l’Ajax, in molti si aspettavano l’esonero del tecnico toscano. E invece no, Andrea Agnelli l’ha confermato proprio al termine del match, dimostrando a tutti che, indipendentemente da come andranno effettivamente le cose a fine stagione, le decisioni le prende e le prenderà sempre lui, anche e soprattutto quelle considerate “impopolari”.
Infine, la questione maglie Adidas 2019-2020. Addio alle classiche strisce e spazio a due “blocchi”, uno bianco e uno nero, separati da una linea rosa verticale al centro. Ecco le solite polemiche, derivate dal fatto di aver “distrutto” un emblema della Vecchia Signora, per far spazio a un look più “futurista”, in quanto proiettato in un calcio in repentino cambiamento, soprattutto dal punto di vista del marketing. Premesso che, alla fine, una maglia viene sempre ricordata per i successi ottenuti e per i giocatori che la indossano (un po’ come quella blu della finale di Roma del 1996, che non era meravigliosa), non si è colto ancora una volta il coraggio di Andrea Agnelli, che ha deciso di puntare ufficialmente su nuovi mercati… già, quelli in cui si comprano maglie originali.
Potrei andare avanti a scrivere pagine e pagine per dimostrare che Andrea Agnelli è uno con le palle, tante quante le pagine di storia che la Juventus ha scritto sotto la sua presidenza. Dal nuovo logo, alla decisione sul mancato rinnovo di Alessandro Del Piero, passando per una brillante gestione societaria, che ha permesso di vedere in bianconero un campione del calibro di Cristiano Ronaldo (ancora faccio fatica a crederci).
Andrea Agnelli, il Presidente del presente, ma soprattutto del futuro.