Una squadra di calcio è un progetto, perché è una comunità. E’ un sistema complesso in cui interagiscono diversi fattori – la dirigenza, l’allenatore, la squadra, i media, i tifosi, gli avversari, il fato – che difficilmente possono essere\r\nprevisti o composti in una logica minima, quotidiana. So bene che il calcio, come tutte le passioni ingiustificabili razionalmente e perciò intensissime, reclama risultati ora, subito, qui.Ma senza un progetto non nasce nulla. Un progetto da dichiarare lealmente ai tifosi. Quanto ha sofferto l’Inter e quanto i suoi tifosi prima di arrivare ad essere considerati lo squadrone che sono? La Juventus deve confermare, esplicitamente confermare, l’ispirazione che ha mosso John Elkann quando si assunse la responsabilità di far rinascere una società che era finita ingloriosamente per la primavolta in Serie B e non solo dal punto di vista calcistico. Bisognava riconquistare simpatia e fiducia, amore e passione, specie dei tifosi più antichi e sinceri. C’era qualcosa di importante, di decisivo, come l’etica dello sport, che la Juventus doveva far ritrovare a sé stessa. In pochi anni si è passati dalla B alla Champions League, non è poco. Ora, nel momento di passaggio più delicato, di fronte all’onta di sconfitte meritate, si deve decidere se salvaguardare e rilanciare il progetto o gettare tutto al mare.\r\nL’Italia è, in ogni campo, un Paese emotivo. Tutto è consegnato ad una febbrile immediatezza che consuma la possibilità di un futuro strutturato. Così è, anche e ancor di più, nel calcio. Sulle colonne di questo giornale de Calò ha dimostrato con i dati che nel nostro Paese sono saltate, in quattro mesi, dodici panchine. Nello stesso periodo ne sono cambiate tre nella Premier League, quattro nella Liga spagnola, due in Francia. Anche lì le squadre subiscono sconfitte inaspettate, anche lì deludono aspettative d’amore. Sia chiaro, possono crearsi, nella comunità, tensioni tali da rendere necessaria una innovazione o una ritrovata sintonia tra le componenti. E’ successo, evidentemente, a Napoli o Palermo. Maprendiamo il caso del Torino o dell’Atalanta, e così non è. O prendiamo il caso del Milan. Dopo la partita persa in casa con lo Zurigo, il destino di Leonardo sembrava segnato. Se Galliani non avesse resistito a tutte le pressioni non avremmo mai visto il quattro-due-fantasia che oggi viene celebrato come l’Olanda di Happel.\r\nAlla pressione dei tifosi e dei media non è facile resistere. Ma bisogna farlo, se si crede in un progetto. La Juve che ho più amato scelse ad uno ad uno i giocatori sui quali impostare un ciclo. Prese un giovane allenatore, Trapattoni aveva trentasette anni quando esordì, e vinse con lui sei campionati. Lippi cominciò ad allenare i bianconeri avendo solo due anni più di Ferrara e fece vincere cinque scudetti e una vera Coppa dei Campioni. Un ciclo significa una immensa capacità tecnica, di selezione di giocatori e dirigenti. Fu così quando si presero, in pochi anni, Scirea, Cabrini,\r\nFanna, Prandelli dall’Atalanta e quel genio calcistico di Tardelli dal Como. Quando si fecero crescere, tra Varese e Torino, Gentile e Bettega. In questo modo nasce un ciclo. E poi fu ancora così con Vialli e Ravanelli, con Di Livio e Peruzzi. Per me è questa la sfida della Juve di oggi. Vincere quest’anno ciò che si può, compresa la Europa League, e arrivare in zona Champions. \r\nIl problema non è Ferrara, troppo facile. E’ vero, nelle ultime settimane, la squadra sembrava smarrita. Lo era lo sguardo dei giocatori, il fatto che nessuno avesse il coraggio di saltare un uomo o provare una «giocata ». Ma in un centrocampo senza Sissoko e Camoranesi, e a lungo senza Marchisio, era difficile che Tiago o Poulsen garantissero laqualità necessaria nella zona in cui le partite si vincono o si perdono. E’ qui che ci vuole un vero salto di qualità. La Juve ha bisogno di tornare massicciamente sul mercato. In ogni reparto, presto. L’Inter, che già aveva tutto quel ben di Dio, ha preso Pandev e cerca Ledesma e Kolarov. La Roma Toni, la Fiorentina Felipe e Ljajic, il Napoli Dossena, il Milan David Beckham. La Juventus nessuno (nonostante mezza rosa infortunata). E, soprattutto, la squadra bianconera è la seconda più anziana, per età media, della Serie A. Quasi ventinove anni. Da qui bisogna ripartire. Preferisco un anno di sofferenza con l’incubazione del progetto, con il lancio di giocatori come De Ceglie o Giovinco, Rossi o Immobile. Preferisco che si facciano sforzi per trovare giocatori come Galloppa, Borriello, Ranocchia piuttosto che dare sette milioni di euro per sei mesi a Gus Hiddink. La Juve ha bisogno di centrocampisti e di punte, stante l’involuzione clamorosa di Amauri. Ha bisogno che si scelgano imigliori tra i ragazzi che sono fuori, Lanzafame, Paolucci, Palladino, Yago, Pasquato, Mirante. E che si cerchino giocatori stranieri di qualità, non saldi.\r\nNel calcio moderno, come racconta Sconcerti nel suo bel saggio, contano schemi e organizzazione. Ma è decisiva una rosa ampia, di qualità, per la Juve, proiettata nel futuro. Oggi è giusto che Ferrara, che sta dando prova di carattere, sia parte di questo progetto e, ovviamente, anche dei risultati da raggiungere in questi mesi. Bisogna avere il coraggio di salvaguardare un disegno, e di alimentarlo con uno sforzo economico serio. E’ bello che, dopo una assemblea utoconvocata negli spogliatoi, la squadra abbia fornito una prova come quella di Coppa Italia. Come diceva Saint Exupery «Se vuoi costruire una nave… risveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Appena\r\nsi sarà risvegliata in loro questa sete si metteranno subito al lavoro per costruire questa nave ». Il progetto Juve, una squadra più giovane, forte e motivata, è quello che i veri tifosi attendono dall’intelligenza, dal senso etico e dallo spirito di innovazione di John Elkann. Perché si apra un ciclo lungo di vittorie, non perché si cerchi un costoso traghettatore.\r\n\r\n(Credits: Gazzetta dello Sport)