Sono passati pochi giorni dal nono scudetto consecutivo della Juventus, il trentottesimo della sua gloriosa storia, ma non si sono ancora placati gli echi della disperazione degli sconfitti. Come volevasi dimostrare, per i senza fegato italioti (gente cioè che l’ha perso in questi anni di dominio juventino) lo scudetto 2019-2020 è diventato “scudettino” o “lo scudetto del tampone” (definizione nauseante -ndr), in antitesi con le definizioni coniate quando sembrava che potesse andare ad altre squadre, ovverosia lo “scudetto della rinascita del Paese” e lo “scudetto dell’Italia unita e laboriosa”. Addirittura c’è stato un tizio, probabilmente un cronista nerazzurro in confusione mistica, che sul Fatto Quotidiano lo ha definito “scudetto di cartone”. Proprio così! Lui! Loro! D’altronde, da uno che nello stesso delirio scrive che De Ligt è sopravalutato e che ha fatto rimpiangere Chiellini, cosa vuoi aspettarti? Non se la prenda nessuno, ma io in questo caso, per rimanere in tema, parlerei di testa di cartone, quella di chi ha scritto cotanta spazzatura.
L’ossessione di Massimo. D’altro canto, diceva la scrittrice britannica Doris Lessing, “le piccole cose divertono le piccole menti”. A proposito di scudetti di cartone, ma di quelli veri. L’altro giorno è tornato a parlare l’ex presidente dell’Inter Massimo Moratti. Un appuntamento ormai immancabile alla fine di ogni stagione calcistica e a ogni trionfo bianconero. Tanto per cambiare il “nostro” rispolvera un suo vecchio leitmotiv e ci ricorda che gli scudetti della Juventus sono “36 e non 38, per cui è poco elegante esibirne tanti”. Detto da chi si vanta di averne “18”, fregiandosi di un titolo ottenuto a tavolino dopo essere arrivato terzo a suon di record negativi, ci vuole coraggio. E poi da che pulpito viene la predica: sbaglio o nell’ambito dell’inchiesta Calciopoli bis, il procuratore federale Stefano Palazzi sentenziò che la società nerazzurra violò l’articolo 6 e fu colpevole quindi di illecito sportivo? “Questo Ufficio”, scrisse nella sua relazione finale, “ritiene che le condotte fossero certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica in favore della società Internazionale FC, mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità ed indipendenza, che devono necessariamente connotare la funzione arbitrale”. Peccato che i termini fossero scaduti e tutto cadde in prescrizione. Ma “prescrizione” non vuol dire “assoluzione”.
Provaci ancora, Aurelio! Intanto sono ricominciate le grandi manovre per cercare di fermare il dominio bianconero. Sul campo o sul mercato, direte voi? In nessuno dei due, troppo complicato. Semplicemente rispolverando quel metodo tipicamente italiota, che più che sulla meritocrazia e quindi sul miglioramento di se stessi, punta a ostacolare e abbattere con ogni mezzo chi è più bravo, per livellare tutto verso il basso. D’altronde, come diceva Roberto Gervaso, “niente, più della mediocrità, affratella”. Protagonista dell’ultima sceneggiata, tanto per cambiare, Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, al lavoro con la Figc per cambiare il format del campionato, inserendo playoff e playout. Un “piano” per spezzare il dominio in Serie A della Juve. Insomma, un’altra idiozia che si commenta da sé: solo in Italia avere strategia e visione manageriale è considerata una colpa. Ad ogni modo, facciano come vogliono: ci hanno provato con Farsopoli, col VAR, con gli arbitri “amici” mandati a penalizzare la Vecchia Signora, ma niente, la Juventus ha vinto lo stesso dimostrandosi più forte di tutti. Io per andare sul sicuro suggerirei quindi una VAR gestita dalla redazione di Rai Sport, e di inserire anche alcune nuove regole, come quella che obblighi i bianconeri a scendere in campo già sotto di un gol e con un uomo in meno. Inoltre, tra il primo e il secondo tempo, adottare il televoto per decidere da casa quale calciatore di Sarri fare espellere a caso. Ovviamente potrebbero partecipare solo i “tifosi” delle altre squadre.
Con o senza Sarri? Battute a parte, a coloro che vogliono vincere qualcosa senza programmazione e investimenti mirati, restano tre possibilità concrete: la prima è quella di continuare a giocare sulla PlayStation; la seconda sperare nella nascita della Super Lega per le big europee, così i bianconeri saranno impegnati altrove e in Serie A rimarrà solo qualche provinciale a giocarsi lo scudetto; la terza, auspicare che la Juventus sbagli il prossimo mercato, puntando su modesti pedalatori come Chiesa e Locatelli, bruciando definitivamente il vantaggio accumulato in questi anni sulle rivali. Qualcuno sostiene che anche insistere con Sarri possa essere un azzardo, visto che in un anno non ha saputo dare un gioco alla squadra, e non sembra essere stato capace di gestire tensioni e momenti chiave della stagione, al di là della vittoria finale. Chi lo difende sostiene invece che non era facile riprendere dopo la sosta obbligata dal Covid-19, dimenticando però che l’andazzo è stato quello tutto l’anno, tranne sporadiche occasioni. Mai come in questa stagione la Juventus ha dato la sensazione di essere tremendamente vulnerabile in difesa e a centrocampo, quasi sempre senza un’idea di gioco, anche brutta, e di un’identità ben definita.
Tempo di uscire dal cortile. Qualcuno l’ha paragonata all’umorale Foggia di Zeman, ma meno spettacolare e dinamica: una squadra capace di battere chiunque ma di perdere anche con chiunque. Perché il problema non è vincere o perdere, ma il modo in cui ciò avviene. E quasi sempre i bianconeri hanno vinto grazie alle giocate dei singoli (proprio come accadeva con il tanto vituperato Allegri), a cominciare da quel Fenomeno chiamato Cristiano Ronaldo, che a dispetto di quanto sostiene qualche rimbambito, ha trascinato la squadra alla vittoria finale a suon di gol e assist. Qualunque sia l’opinione sul tecnico bianconero e qualsiasi sarà la decisione presa dalla dirigenza in proposito, la società torinese è chiamata a compiere l’ultimo passo importante per evolversi in una realtà internazionale. Certo, avere in rosa calciatori che per un motivo o l’altro sono difficili da vendere, da De Sciglio a Khedira, passando per Ramsey, Bernardeschi e Higuain rende le cose complicate, ma è anche vero che non possono costituire una scusante per chi, in fondo, ha determinato questa situazione acquistandoli o offrendogli rinnovi immotivati a cifre assurde. Piuttosto, che servino da monito a Paratici affinché non ripeta orrori simili in futuro, puntando come scritto prima su atleti mediocri piuttosto che su campioni affermati o talenti davvero cristallini. Meglio spendere i pochi soldi per un fuoriclasse pronto o per il “De Ligt di turno”, piuttosto che per due-tre carneadi.