La Serie A ha deciso di ripartire e lo farà ad ogni costo, anche se alcuni club non saranno pronti, e per via dei giocatori contagiati che non sapranno quando potranno tornare in campo (Samp e Fiorentina le squadre più in emergenza), avranno le rose ridotte. Non c’è alcuna esigenza sportiva a ripartire, solo economica è evidente. Come riferisce oggi il quotidiano La Stampa, ci sono 124 partite da giocare a partire dal 31 maggio, questa la data scelta dai club (non tutti, perché Torino e Brescia minacciano di non scendere in campo). Da lì in poi si giocherà ogni tre giorni con turni suddivisi in due giornate (sabato-domenica e martedì-mercoledì) o tre sfruttando anche lunedì e venerdì.
L’obiettivo è quello di finire il 12 luglio per poi dare spazio alle coppe fino ad agosto, anche se il parere dei medici non fosse propriamente favorevole. Inoltre, si va verso la disputa delle partite solo al Centro-Sud, ovvero lontano dai focolai dei contagi. Si giocherebbe comunque senza pubblico e il vantaggio per le squadre come la Lazio, che potrebbe giocare sempre all’Olimpico, sarebbe quello di conoscere meglio di altri il terreno di gioco. “Vedo molto difficile una ripresa del calcio. Non è un dibattito prioritario”, ha detto ieri la sottosegretaria al ministero della Salute, Sandra Zampa, a Rainews24.
Oggi, però, la commissione medica della Figc preparerà il protocollo da seguire per allenamenti e controlli medici, un protocollo che un luminare come il prof. Castellacci ha già ammesso che non tutti saranno in grado di rispettare. Importa poco al presidente federale Gabriele Gravina, che proprio stamattina ha chiarito che le partite si giocheranno lontano dalle zone colpite dalla pandemia: “Sarà molto difficile giocare a Bergamo, ma anche a Milano, Brescia o Cremona, Un campionato sotto il Rubicondo (in realtà il fiume si chiama Rubicone, ndr), senza partite al nord, è una possibilità”. Un’idea che nasce da quelle analoghe dell’Nba e dalla Premier League, che pensa di giocare sempre a Londra, dove però ci sono qualcosa come 7 stadi. “Da noi è impossibile pensare di farlo in una sola città. Non si possono giocare 10 partite sullo stesso campo in un weekend e servirebbero 20 centri d’allenamento”, aggiunge Gravina a La Repubblica.
Quanto al parere dei medici, poi, il presidente federale lo fa passare sostanzialmente in secondo piano: “Ho massimo rispetto per la scienza e per chi ha la responsabilità di applicarla, ma non posso ammainare bandiera. Lavoriamo sul come, non sul quando. Quando il Paese tornerà a vivere, quando ci saranno le condizioni per altri settori tornerà anche il calcio. Lo dico una volta per tutte: il campionato – conclude – va portato a termine. C’è tempo”. Peccato che ieri la Fifa abbia ribadito che si andrà oltre il 30 giugno, i calciatori in scadenza non potranno giocare e saranno costretti ad andare in tribuna e club come il Napoli finirebbero decimati.