Sconcerti: “Con Calciopoli si è voluto colpire solo la Juventus”

La storia di Calciopoli viene riscritta giorno dopo giorno: quello che ci hanno raccontato nel 2006 si sta rivelando sempre più un boomerang nei confronti di chi ha architettato questa farsa nella speranza che il marciume non venisse mai a galla. E’ questa la vera associazione a delinquere, quella che ha messo su un processo pseudosportivo in 20 giorni, che ha trascurato (qualcuno dice occultato) telefonate e che ha messo su una campagna mediatica per orientare il sentimento popolare. In attesa che i processi, quelli seri, diano le loro sentenze, c’è chi come Mario Sconcerti cerca di recuperare il terreno perduto in questi anni facendo parziali retromarce nelle precedenti accuse lanciate ai ‘mostri’ di Calciopoli. Ecco cosa scrive oggi sul ‘Corriere’.\r\n

C’ è un errore in questa storia di Juve e Inter che è grande come il mondo ed è dovunque. E dimentica una cosa: la Juve non ha finito di pagare la sua colpa con gli scudetti cancellati, con quello del 2006 ancora in discussione. Credo sia questo lo sperpero. La Juve non ha ancora smesso di pagare. Ha perso due scudetti e ha perso una squadra da scudetto. Forse molto di più. E’ stata persa la concezione di una squadra vincente e non per forza disonesta. L’Inter ha vinto l’anno dopo con gli acquisti di Ibrahimovich e Viera dalla stessa Juve. Questo pesa particolarmente adesso. La vera Juve non è più esistita. Io credo fortemente che la Juve andasse colpita e limitata nella larghezza con cui l’aveva concepita Moggi. Ma questa Juve ha pagato troppo. Sei stagioni dopo si sta ancora ricostruendo quello che fu distrutto allora. Questo non ha niente a che vedere con la colpevolezza di Moggi, ma con una serietà di giudizio che a me sembra mancata. Lo dissi allora, lo ripeto adesso. Si bruciarono donne chiamandole streghe, ma prima di tutto erano donne. Infatti gli effetti della condanna durano ancora e sono troppo lunghi, vanno oltre i termini del giudizio. La Juventus come grande squadra va reinventata. Non era questa la ratio della condanna. Si voleva punire una squadra, non tutte quelle che l’avrebbero seguita.