Sarri, non è stato bello: la Juve è un’altra cosa

Ci avevano detto che sarebbe stato bello. Ci avevano detto che sarebbe stato facile. E’ tornato indietro tutto come un boomerang

Si può dire, o qualcuno rischia di offendersi? Si può dire senza essere etichettati come “vedove” di Massimiliano Allegri? Si può dire, o immediatamente viene revocata quella tanto famosa quanto ridicola “patente del tifo”?

Già, perché da un anno a questa parte, chiunque abbia mai osato esprimere qualche perplessità sull’esperimento Sarri è stato immediatamente silenziato da un coro di “voci esperte”, che ci hanno spiegato nel dettaglio il gioco del calcio, con un’arroganza e una veemenza da leoni… da tastiera. Schemi, lavagne tattiche, numeri, ombre, luci e penombre: un’infinità di parole messe lì, talvolta a caso, quasi con l’intento di confondere il proprio interlocutore, o con il fine di portare al livello di scienza ciò che con la scienza ha davvero poco a che fare.

Ci avevano detto che sarebbe stato bello. Ci avevano detto che sarebbe stato facile. Ci avevano raccontato tante cose, che ci hanno proposto e riproposto per più di 365 giorni. Hanno difeso l’indifendibile, hanno gettato fango su un allenatore che ha portato 11 trofei nella bacheca della Vecchia Signora. Hanno provato a dire che chiunque, al posto suo, avrebbe ottenuto gli stessi risultati.

Hanno preso in giro “il corto muso”, ma poi lo hanno tirato fuori dall’armadio (dove, probabilmente, ci sono molti scheletri) per celebrare lo scudetto di Maurizio Sarri (qualcuno è pure riuscito a definirlo – in palese malafede – “il più bello dei nove consecutivi”).

Ci avevano detto che il nuovo allenatore della Juventus avrebbe dovuto lavorare sulle macerie del precedente, quando invece quelle stesse macerie le troverà chi arriverà in futuro (ammesso che qualcuno capisca l’errore fatto a giugno 2019 e faccia umilmente un passo indietro). Avevano urlato allo scandalo dopo l’eliminazione dello scorso anno contro l’Ajax, definendo la squadra olandese “una banda di ragazzini” e sottolineando come la rosa data ad Allegri fosse almeno da finale di Champions League.

Quest’anno, improvvisamente, il Lione si è trasformato nel Barcellona, e questa Juventus, invece, è diventata una piccola squadra fatta di giocatori bolliti e con la pancia piena.

Avevano implorato Cristiano Ronaldo di scusarci, avevano detto che la Juventus non meritava un simile campione, e in questa stagione hanno osato, a tratti, metterlo in discussione, sostenendo che con una “prima donna” del genere è impossibile vedere un determinato tipo di gioco.

“Cosa poteva fare di più Maurizio Sarri?”, “La colpa è tutta di Paratici e Nedved”, “Questi giocatori non sono adatti al suo modo di intendere il calcio”. Sempre le stesse frasi, sempre le solite parole, pur di non ammettere che sì, è stato un anno buttato, salvato solo dalla coppia CR7-Dybala, che ha permesso ai bianconeri di portare a casa l’ennesimo scudetto (ma lo scorso anno non era uno scudettino da non festeggiare?), questo sì di “corto muso”.

Ci avevano parlato della nuova mentalità europea della Juventus (e qualcuno, senza vergogna, continua ancora a parlarne), dimenticandosi delle due partite giocate contro il Lokomotiv Mosca e del ritorno contro l’Atletico Madrid. Fino ad arrivare al match d’andata con il Lione (dove, tra l’altro, la Juventus ha a tutti gli effetti perso la qualificazione ai quarti), dove si è vista, molto probabilmente, una delle Juventus più brutte di questo incredibile ciclo di successi.

Sia ben chiaro: nessuno ce l’ha con l’uomo Sarri (a differenza di quanto capitato, lo scorso anno, con gli haters di Allegri, che hanno costretto lui e la figlia a lasciare definitivamente il mondo dei social). Sarri è, dal punto di vista della crescita professionale, un esempio di coraggio e di umiltà, da rispettare sotto tutti i punti di vista. Un allenatore che parte dal nulla, dai dilettanti, che lascia il proprio lavoro per puntare tutto sul mondo del pallone. Una persona che, non più giovanissimo, conquista l’Europa League con il Chelsea e la Serie A l’anno successivo.

Tanto di cappello, Maurizio.

La Juventus, però, è un’altra cosa.