Le idee ci sarebbero pure, almeno nelle intenzioni ma il gioco stenta a decollare. Meccanismi che sono nella testa e non ancora nelle gambe dei giocatori. Va bene tutto, però piano con i funerali a febbraio, è già capitato nel recente passato. A novembre è finito sul tavolo degli imputati Cristiano Ronaldo, pensionato anzitempo da una parte della critica.
Equilibrio prima di tutto, specie nelle valutazioni, con la Juve il rischio di essere ribaltati è davvero dietro l’angolo. Ora, più di prima, tocca a Sarri, perché non si vedono i suoi dogmi applicati al campo e, allo stesso tempo, la squadra ha perso solidità. La Juve ha scelto l’ex Napoli in nome del gioco, la vera declinazione che ha convinto i vertici a congedare Max Allegri.
A sprazzi si è intravisto come Sarri vorrebbe che giocasse la sua Juve. Con l’Inter a San Siro o i primi 50 minuti col Napoli allo Stadium. Una squadra che lasciava (consapevolmente) tanto campo alle spalle per andare a prendere l’avversario a ridosso della sua area di rigore. L’ha fatto il Verona di Juric che ha soffocato tutte le fonti di gioco bianconere, costringendo la Juve al lancio sistematico.
Se pensiamo di vedere una replica del Napoli di Sarri a Torino, siamo sulla strada sbagliata. Anche perché il tecnico aveva già rimodulato alcuni concetti nel corso della sua avventura al Chelsea. Ma c’è un aspetto non trascurabile e che può essere preso in prestito dalle esperienze precedenti. Insigne, Mertens e Callejon erano la prima vera linea di pressing attivo, volto al recupero del possesso. Tema che si è visto poche volte con gente come Ronaldo, Dybala e Higuain meno predisposti a far quel tipo di lavoro senza palla. Sarri ha più volte ribadito in conferenza stampa, specie durante le prime partite, di volere una squadra più “alta” (in termini di baricentro) e pronta a guadagnare metri sull’avversario. Il recupero immediato del possesso permette al tecnico di lavorare nella sua comfort zone.
Ad oggi, per mille motivi, non è ancora la sua squadra, ma serve trovare la chiave di volta nel breve periodo o quantomeno il giusto compromesso squadra-allenatore. Al di là delle tabelle di marcia degli anni passati, sono trascorsi solo sei mesi (con in mezzo una polmonite) e serve del tempo per capire quanto questa Juve potrà diventare sua. I primi mesi Allegri non toccò quasi nulla (3-5-2 incluso), si scrisse: “E’ ancora la Juve di Conte con il pilota automatico”. Pian piano apportò nuove idee e nuove formule. Questa non è più la Juve di Allegri, ma non è ancora quella di Sarri.
A Maurizio gli si chiede un restyling diverso: concettuale, di gioco, di testa e di idee. Gli si chiede qualcosa in più di quello che si è visto fin qui, ma merita anche tempo per provare a fare quello di cui sopra.