Il Milan passeggia fra le macerie della Juventus come un turista goloso: appena può, ne porta via un pezzo. Alla fine, resterà ben poco, della Juve e dei suoi sogni. Zero a tre: un disastro alla periferia di un trionfo. La vittoria del Diavolo, la prima dopo il ritorno dei bianconeri in serie A, ha un valore che esula dal risultato nudo e crudo: consegna Leonardo al ruolo e al rango di anti-Inter e gli avversari a un fallimento che coinvolge l’allenatore, i giocatori, la società. Tutto, tutti. Un anno fa, con Ranieri, la Champions durò sino agli ottavi e il campionato «aziendale» rimase aperto fino al 22 marzo (Inter 69, Juventus 62). Oggi, siamo al giro di boa e la musica è già finita. In barba al rombo, ai botti di mercato, alla cotta brasiliana ( Diego e Felipe Melo, 50 milioni in due). A dodici punti dalla vetta, ciao scudetto: meglio tener d’occhio la zona Champions, intasatissima. La Juventus è scivolata al quarto posto, visto che il Napoli l’ha agganciata e «superata» in virtù del confronto diretto. E la Roma di Ranieri è lì, a un passo; e la Fiorentina (una gara in meno) e il Palermo a non più di tre.\r\nNon che il Milan abbia disputato una partita memorabile: tutt’altro. Hanno risolto un gollonzo di Nesta e una doppietta di Ronaldinho. A Parma, mercoledì, era andata di lusso: autogol più orgoglio più catenaccio. Il Milan è il Milan, anche quando baratta la fantasia con i calcoli e gli scrupoli. E la Juve è la Juve, un gregge disperatamente e malinconicamente aggrappato al carattere. Ferrara l’ha montata e smontata fino a crollare. Dal 4-2-3-1 al 4-4-2 la squadra si è attorcigliata su stessa, il corpo come simbolo, il cuore come distintivo. Troppo poco. Per accumulare sei sconfitte, l’ultima Juventus aveva impiegato un campionato intero; questa, appena un girone d’andata. Bettega, arrivato a Natale, non poteva fare miracoli. Gli infortuni, certo: ma chi non ne ha avuti? Ferrara è stato solo e, acerbo com’era, si è smarrito nel labirinto, che a Torino va di moda ovunque, anche in granata. Temo che pagherà in nome e per conto: non è giusto, ma, purtroppo, non si possono licenziare né gli ufficiali né i soldati (non tutti, almeno).\r\nHa perso, la Juventus, in entrambe le versioni, con Del Piero in panchina e poi in campo per non più di mezz’ora: un argomento, questo, che farà discutere. Come il cambio di modulo, l’imbrocchimento dei brasiliani (Amauri su tutti), le cessioni di Zanetti e Marchionni, le dritte di Lippi. Il Milan si è limitato a sfruttare le tensioni dei rivali, i nervi scorticati da una deprimente povertà di idee. Ha giocato con la forza dei calmi, più che con la calma dei forti. L’esatto contrario della Juventus, contestata, fischiata e «bruciata». Con il rombo si segnava di più (e si prendevano più gol); senza, si rischia di meno ma si produce la metà della metà. L’impegno, quello, mai è mancato; e mai la squadra ha giocato contro Ferrara. I problemi si annidano nel progetto, sopravvalutato, e nella preferenza del muscolo. Pensare che basti esonerare Ferrara per salvare la baracca, sarebbe imperdonabile.\r\n\r\n(Roberto Beccantini per La Stampa)