Sono convinto che Ciro Ferrara possa diventare un bravo, forse ottimo, allenatore. E che lo sarebbe già se, alla sua prima esperienza in panchina, avesse avuto alle spalle una società strutturata e competente (la Juve, quella Juve, non lo era), così come se egli si fosse potuto confrontare con un gruppo di persone leali e sincere (molti calciatori non lo sono stati). Avendo cominciato nella stessa stagione in cui Leonardo ha esordito nel Milan, con zero presenze in panchina ma con un analogo percorso professionistico post calcistico dirigenziale, credo che le differenze siano state stabilite dai club. La Juve ci rifletta oggi che sta seriamente pensando ad Antonio Conte. \r\n\r\nNaturalmente Antonio ha seguito un percorso completamente diverso rispetto a Ciro. Primo, perché dalla Juve se ne è andato (prima al Siena, da secondo, poi Arezzo, poi Bari) e quando ci è tornato (per trattare) ha capito subito che non ci sarebbe stato spazio per le idee chiare. La serie A con l’Atalanta se l’è meritata vincendo il campionato di B, a Bari. Dopo Bergamo, dove non aveva legato né con la curva (assai potente), né con lo spogliatoio (guidato dal senatore Cristiano Doni), Conte è tornato in serie B, al Siena che sta conducendo autorevolmente verso la serie A. Sarà la sua seconda promozione in carriera in appena quattro campionati di serie B. Ad Arezzo, in verità, Conte non riuscì a salvare la squadra anche perché, all’ultima di campionato 2006-2007, la Juve si fece battere (sì, proprio così, si fece battere) dallo Spezia in casa. A testimonianza di quella diserzione di massa (la Juve era abbondantemente in serie A da alcune giornate), resta un mio fondo sul quotidiano sportivo che allora dirigevo, Tuttosport.\r\n\r\nCosa voglio dire? Che la Juve post Calciopoli a Conte una mano non gliel’ha certo data. Forse anche perché Conte, che è un uomo orgoglioso, non l’ha mai chiesta. Non ha chiesto nemmeno di allenarla, glielo hanno domandato gli altri. Stavolta sa che le possibilità sono tante e le variabili ridotte (Spalletti e, forse, l’outsider Van Gaal, nient’altro). Casomai il problema – ammesso che davvero sia un problema – risiede in qualche frangia del tifo bianconero. Non certo la più passionale che, invece, su Conte ha una convergenza pressoché univoca. Superiore, perfino, a quella del possibile ritorno di Capello.\r\n\r\nC’è chi accosta, forse, in ragione dell’età (Ferrara 44 anni, Conte 42), l’uno all’altro. Ma, a parte la storia professionale, le distanze sono stabilite anche da altro. Innanzitutto il carisma (Conte ne ha certamente più di Ferrara, al momento, anche per un temperamente più palesemente sanguigno), l’abitudine alle pressioni e al conflitto. Quella che, in fondo, si chiama esperienza. La serie B – soprattutto se di vertice – è estremamente formativa e non c’è dubbio che Conte abbia attraversato vicende particolarmente significative: una squadra per evitare la retrocessione (Arezzo), una per una promozione attesissima eppure non programmata (Bari), lo scottante esordio in serie A da una piazza del profondo nord (Bergamo) calda come quelle del profondo sud. Infine Siena dove non avrebbe potuto sbagliare. Sia per l’ambizione di Mezzaroma, sia per riportare in alto il profilo della sua carriera. Insomma, Conte ha fatto e sta facendo. Rischia e cambia. Ovunque per un obiettivo alto, qualche volta apparentemente impossibile. Tatticamente, poi, Conte elabora sistemi di gioco, corregge, modifica, monta e rismonta. Gioca con il 4-2-4 che non è la trasposizione squilibrata di un modulo zemaniano, piuttosto lo spostamento sugli esterni degli uomini di qualità, quelli che riescono a creare la superiorità nell’uno contro uno.\r\n\r\nSe Ferrara diventerà (e io ne sono sicuro), Conte è già. Da Juve subito, senza altri indugi.\r\n\r\nDi Giancarlo Padovan per CalcioGP