Ora Paparesta porta Collina in tribunale

Cominciando dalla fine, il racconto del caso Paparesta è la rilettura del classico copione con il botto in coda fra paradosso e imbarazzo. Che cosa ha dato un’accelerata ad una vicenda nata ai tempi di Calciopoli? Di mezzo c’è il Tar del Lazio, la richiamata, giocoforza, in campo dell’ex fischietto di Bari e la volontà di quest’ultimo di trascinare in tribunale (sede civile e penale) chi lo ha tenuto ai margini del mondo arbitrale nonostante più passaggi giudiziari a lui favorevoli e dopo aver scontato le condanne sportive per i fatti dell’estate del 2006.\r\nCosì, accade che mentre Paparesta si prepara alla visita medica e ai test fisici per l’immediato reintegro come indicato dal Tar, lo stesso ex arbitro barese abbia presentato richiesta formale all’Aia per smarcarsi dalla clausola compromissoria e citare per danni morali e materiali e per abuso d’ufficio chi occupa ed occupava le poltrone più alte all’interno dell’Associazione dei fischietti. Vicenda imbarazzante. E paradossale, perché se Paparesta supererà le prove fisiche, agli ordini di Collina tornerà un direttore di gara (40 anni e 135 gare di A arbitrate) pronto a portare davanti ai giudici il suo allenatore (Collina appunto) e il gran capo degli arbitri di oggi (Nicchi) e di ieri (Gussoni).\r\nUna storia infinita, quella che vede coinvolti uno dei protagonisti dell’episodio forse più eclatante di Calciopoli e i vertici del sistema arbitrale. Paparesta ha pagato con l’inibizione di tre mesi la notte di Reggio Calabria del novembre 2004, il dopopartita passato alle cronache per la sfuriata di Luciano Moggi negli spogliatoi del fischietto barese colpevole di non aver dato un rigore alla Juve e di aver annullato un gol ai bianconeri in pieno recupero. «Contrariamente a quello che dice Moggi, non mi hanno mai chiuso dentro lo stanzone degli spogliatoi, fuori c’erano ispettori di Lega, della Figc, forze dell’ordine, nessuno si è accorto di nulla», è sempre stata la tesi difensiva di Paparesta che pagò con la squalifica per non aver denunciato fatti che Lucianone raccontava in telefonate intercettate.\r\nLa giustizia sportiva sanzionò (per poi annullare il verdetto) l’arbitro pugliese anche per i rapporti con l’ex dirigente del Milan Leonardo Meani. Ma quando in scena sono entrati i tribunali ordinari, per il commercialista di Bari ci sono stati solo stralci e archiviazioni come quelle in fase preliminare al tribunale di Napoli prima del processo a Calciopoli per la questione delle sim svizzere («Le ha avute mio padre Romeo, ex arbitro…», la tesi accolta) o davanti ai giudici della Corte dei Conti.\r\nPaparesta vuole andare ai supplementari perché, ripete, «è incredibile che chi ha dimostrato la propria estraneità ai fatti non stia arbitrando, mentre vanno in campo arbitri ancora a giudizio. Non mi fanno rientrare? Forse perché sono un teste dell’accusa a Napoli…». Dal 4 luglio 2008, il suo nome è stato depennato dagli organici per «normale avvicendamento», come scrissero all’epoca i vertici arbitrali. Oggi, il Tar del Lazio lo rimette in pista in attesa del nuovo passaggio al Consiglio di Stato per il ricorso presentato dall’Aia.\r\n(La Stampa)

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Pubblicato da
Alberto Zamboni