Occasione speciale per Ranieri: dare il colpo di grazia a Juve e Ferrara
L’allenatore più felice del mondo, «guidare la squadra del cuore era il mio sogno», è ancora più felice: ha raddrizzato una Roma allo sbando, l’ha appena piazzata davanti alla Juve, che l’anno scorso lo ripudiò, e sabato può far cadere chi venne dopo di lui, Ciro Ferrara.\r\nMiglior rivincita non poteva armarla. Anche se lui, quella parola, non la estrae mai: «La mia strada e quella della Juve si sono divise, tutto qui – ha raccontato – ma ora sono felicemente l’allenatore della Roma, dice Claudio Ranieri. Io non devo prendermi nessuna rivincita: so di aver lavorato non bene, ma benissimo a Torino e ora sto nella mia città, nella squadra del mio cuore». Non serve, dirlo, basta dar voce ai fatti: otto punti in più del collega, da quando s’è risieduto in panchina, e un calcio di rigore a disposizione, nello scontro diretto, per spedirlo a meno cinque, ancor più lontano dalla zona Champions. Disastro bianconero, sarebbe.\r\nNessuna vendetta, dice, però a tutte quelle cose che gli furono imputate la scorsa stagione, Ranieri ha pensato più volte. Tiene la bocca chiusa, ma ancora una volta manda avanti i fatti. Per gli infortuni fu impallinato, insieme al preparatore, Riccardo Capanna («Che qui sta lavorando benissimo»): un’epidemia l’anno passato, ancora peggio quest’anno. Più che un sassolino nelle scarpe, avrebbe una distesa di ghiaia da levarsi. Qualche volta ci pensa, ma poi sta zitto, convinto di aver fatto il suo dovere. Ha esperienza, e vento a favore, per non infierire: «Lì alla Juve bisogna vincere – ha spiegato – ed è anche normale che ci sia una contestazione. A Torino io ho fatto quello che ero stato chiamato a fare, anzi, sono andato oltre». Inutile ripetere cose già puntualizzate alla dirigenza bianconera: «Quello che dovevo dire l’ho detto a chi di dovere, ma non quando sono stato esonerato, l’ho detto prima». Aveva pure tracciato piani di mercato, prima di essere sollevato dal comando: «Io avevo sottolineato che serviva un vice Nedved – ha raccontato – e che non c’era, se non Ribery. E allora ho dato il via libera per prendere Diego, ma andava cambiato sistema di gioco. E per questo serviva tempo».\r\nChe non gli fu dato, fino in fondo: «Una volta si era detto che ci volevano cinque anni per arrivare al vertice. Il primo anno siamo arrivati terzi, quello dopo secondi. Poi sono stati spesi 50 milioni e si pretende di vincere subito, ma non è mettendo giocatori che si hanno certezze: bisogna lavorare». Almeno, ha ripensato un centinaio di volte Ranieri, avrebbe meritato parità di trattamento: «Sicuramente avrei avuto anch’io delle difficoltà, e sicuramente sarei stato mandato a casa prima». Di Ferrara, s’intende. Gli capitò, d’essere sfrattato, a due giornate dalla fine, con la qualificazione alla Champions in bilico. Mancavano la trasferta di Siena e la partita casalinga con la Lazio: «La Juve avrebbe vinto quelle due partite anche senza nessuno in panchina», s’inacidì.\r\nA Roma, casa sua, per davvero, ha ritrovato la serenità. Non deve neppure censurarsi la parlata romana più di tanto, come faceva invece a Torino. Anzi, l’essere indigeno offre qualche piccolo vantaggio, come quando risponde in romano alle battute di Totti, dentro lo spogliatoio, innescando la risata di De Rossi. All’alba dei 58 anni ha ricevuto il battezzo del derby: perché lui, nato a Testaccio, quindi romano, quindi romanista, e che nella Roma ci aveva pure giocato (stagione 1973-74), non l’aveva mai giocato. L’ha vinto, e ha fatto lo sprint sotto la curva: «Non sono abituato, ma poi mi sono detto: se non ci vado ora… E allora sono partito convinto: non ero più il tecnico, ma il tifoso». Gian Paolo Montali, ex membro del cda bianconero e ora consulente giallorosso, un altro che si sta prendendo una bella rivincita, aveva tracciato la tabella per il sorpasso sulla Juve, fissato per sabato: Ranieri ha solo anticipato i tempi.
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Credits: La Stampa\r\nFracassi Enrico – Juvemania.it