Non più Allegri, ma forse di nuovo Conte-nti…

Nelle orecchie un Concerto Grosso in stile New Trolls, negli occhi le immagini di una festa di paese scorrono una in fila all’altra, come in un montaggio cinematografico: fuochi d’artificio, coriandoli e calici di champagne in alto! Non sta accadendo davvero: non mi trovo ad un concerto dei New Trolls, nè ad una festa di paese. Succede nella mia testa… Da alcuni istanti Allegri non è più l’allenatore della Juventus, ma questo non succede soltanto nella mia testa, è vero! Eppure non mi pare vero, non ancora. Ce n’è voluto di tempo… Cinque anni (mi sono sembrati quindici) a combattere una guerra da solo, contro tutti. Contro tutti quelli che oggi, come di colpo folgorati sulla via di Damasco, combattono al mio fianco e brindano alla fine della guerra, inneggiando al vincitore!

Oggi per me è come tagliare il traguardo dopo una corsa lunga cinque anni, irta di ostacoli, col rischio di sbandare, finendo fuori strada, precipitando in un dirupo. Abbasso il tiranno del non gioco, Torino è libera, i prigionieri portati in salvo: a cominciare da Dybala, incatenato come Andromeda alla roccia, dai lacci del difensivismo di un allenatore senza coraggio. Allegri è un tipo normale, l’italiano medio, uno che normalizza chi è speciale, perché la normalità non ammette la specialità, la teme, inorridisce di fronte ad essa. E allora via Dybala, Cancelo e Douglas Costa, perché quelli come loro, quelli speciali, sono un problema: come disciplinarne la molesta imprevedibilità? Come imbrigliarne il talento? E soprattutto dove collocarli sul campo? Decisamente meno problematico gestire uno come De Sciglio, il ritratto più fedele della normalità di Allegri, che quando lo vede ha quasi l’impressione di guardarsi allo specchio. E poi c’è Mandzukic, senza il quale pare non si possa giocare al calcio: per caso nel regolamento ufficiale di questo sport c’è scritto da qualche parte che ‘ogni squadra dev’essere formata di undici giocatori e che uno di questi undici deve per forza essere Mandzukic’? Evidentemente però sta scritto tra le regole del calcio secondo Allegri: ‘il calcio è semplice’, ripete sempre lui e c’ha ragione! Il suo è semplice davvero: Mandzukic più altri dieci e si va in campo, poi, una volta in campo, tutti rintanati dietro ad aspettare gli avversari, provando a contenerne l’impeto e sperando di infilarli magari in contropiede. Mai un guizzo, mai un sussulto, mai un accesso, magari improvviso e isolato, di audacia. Mai! Mai un’idea, anche vaga di gioco, un impianto, un’identità, uno spartito che gli interpreti a disposizione potessero suonare: nessuno pretendeva un’epica sinfonia in stile Bethoven, ma almeno una discreta melodia pop di quattro accordi in fila, quella sì! Il minimo sindacale insomma, neanche quello!

Eppure l’orchestra è di prim’ordine con un violinista virtuoso come Ronaldo, il Paganini del pallone: bastava alzare la bacchetta e dirigere la banda. Non tutti però si chiamano Riccardo Muti, pochi eletti arrivano alla Scala e non ci arrivano per caso! Così, capita che se il direttore non è all’altezza del palcoscenico che calca, la sua orchestra, seppur di prim’ordine, rischi di stonare. Al contrario, una banda di paese improvvisata, guidata da uno bravo, può suonare meglio di un’orchestra sinfonica. È accaduto ad Amsterdam e poi di nuovo a Torino: un complessino di liceali olandesi con strumenti comprati al mercatino dell’usato ha suonato come una zampogna l’orchestra sinfonica della Scala, umiliata e offesa al cospetto di una platea indignata! Ci vuole un Muti della panchina per ascoltare la musica che meritiamo di ascoltare. Non sappiamo chi sarà, ma sappiamo chi non era e non è più. Adesso lo sa pure Agnelli.