Se uno di calcio ne sa pochino pochino, lo sa che una nazionale italiana che pur avesse in campo giocatori come Peppin Meazza o Gigi Riva (per dire degli astri della nostra storia calcistica) ad affrontare cento volte\r\nuna squadra tetragona e blindata com’è il Paraguay, cento volte soffrirebbe le pene dell’inferno. Mai il nostro calcio ha saputo diroccare le fortezze ben presidiate. E invece a leggere i commenti dei giornali di ieri, sembrava che i nostri calciatori avessero toccato lunedì sera il massimo della vergogna, il massimo dell’insipienza. Era già tanto quando a qualcuno dei nostri giocatori affibbiavano un 6 in condotta. Giù insulti a Marchisio, ai vecchierelli che nel 2006 avevano alzato la Coppa del Mundial, a quei poveri “provincialotti” che correvano in campo con la maglia azzurra, e sembrava che il pareggio lo avessimo agguantato per il rotto della cuffia e nessuno che metteva nel dovuto risalto il fatto che il Paraguay una volta sola aveva tirato in porta e quella volta l’aveva messa dentro. E poi c’è il personaggio dell’Odiato per Antonomasia, dell’odiato-principe, del mister della nazionale italiana, in questo caso Marcello Lippi, un ruolo di cui almeno trenta milioni di italiani sono sicuri che lo assolverebbero infinitamente meglio di lui.\r\nLo sport di tirare a pallettoni contro la nazionale italiana è uno sport antico e collaudato nel nostro Paese. Molti di voi non erano nati nel 1982, quando se ne videro di belle. Le prime partite della nazionale erano state di qualità inferiore a quella di lunedì contro il Paraguay (lo furono anche quelle iniziali del 1994, l’anno in cui arrivammo alla finale dopo aver rischiato di essere buttati fuori subito). Cadde giù il mondo. I giornali fiammeggiavano contro la nazionale. Enzo Bearzot venne trattato come uno scemo del villaggio che s’era fidato di portare in campo quattro inetti, e quegli inetti si chiamavano Zoff, Scirea, Tardelli, Rossi. E a proposito di rispetto della privacy, qualcuno avanzò l’ipotesi suggestiva che Cabrini e Tardelli avessero una storia gay, e questo perché si tenevano per mano nell’ascoltare l’inno di Mameli. Tanto che gli azzurri si blindarono nel silenzio stampa, si rifiutarono sempre e comunque ai giornalisti, dopo di che cucinarono al ragù Argentina, Brasile, Polonia, Germania, e innalzarono al cielo la coppa. Ricordo un indimenticabile articolo di Gianni Mura (il numero uno delle firme sportive della Repubblica) il quale mise gli uni accanto agli altri i giudizi per iscritto di prima e di dopo la vittoria. Prima i giocatori azzurri figuravano come delle bestie, poi come degli eroi sublimi. A firma degli stessi giornalisti. E vi siete dimenticati il 2006, in piena bolgia antijuventina, quando volevano togliere la fascia di capitano a Cannavaro e esonerare Lippi, e poi, a Mundial conquistato, gli stessi personaggi saltarono a quattro zampe sul bus dei vincitori? Non faccio nomi per un eccesso di pudore o forse di disprezzo.\r\nTorniamo all’oggi. È talmente evidente che la nostra attuale nazionale non è del rango delle migliori, e anche se il Mundial è una competizione a sé dove conta dare il meglio al momento giusto. Gigi Buffon ha detto che arrivare ai quarti di finale sarebbe già un ottimo risultato. Nel calcio come negli altri settori della vita non è che i grandi talenti fioriscano a ogni generazione e a ogni angolo di strada. S’è consumata la generazione dei Cannavaro, Zambrotta, Del Piero, Gattuso, Totti, del miglior Camoranesi. Lo stesso Buffon è malconcio. Giochiamo con i giocatori che passa il convento, i prodotti di un calcio dove la squadra che domina il torneo da 4 anni non schiera in campo neppure un italiano, dove i vivai sono stati ridotti allo stremo dalla micidiale sentenza Bosman grazie alla quale un qualche rumeno finisce per costarti di meno, dove le tifoserie sono compatte nel rifiutare un qualsiasi “numerus clausus” di giocatori stranieri nelle loro squadre. Questa nazionale abbiamo e questa ci dobbiamo tenere. Se poi invece uno si immagina che abbiamo un rango calcistico tale che dovremmo fare a tutti i costi 7-0 alla Nuova Zelanda, e che se quei sette gol non li facciamo è tutta colpa di Marchisio e di Lippi “l’antipatico”, allora è il caso di far riaprire i manicomi e di mettercelo dentro.\r\n\r\n(di Giampiero Mughini per ‘Libero’)