Mughini: “Italia mediocre. Che brividi vedere Pepe alla juve”

Non fosse stato per quegli ultimi quindici minuti di partita, i minuti di un arrembaggio azzurro tanto disperato quanto sfortunato (gol di Quagliarella invalidato per un fuorigioco di millimetri, la Slovacchia che ne trova un terzo bello ma casuale, Pepe che si divora il tiro che ci avrebbe dato il 3-3), sarebbe stata un’umiliazione più cocente ancora che non quella della partita persona contro la Corea nel Mundial 1966. E del resto sarebbe stato altrettanto umiliante passare il turno con un eventuale sorteggio favorevole, dopo tre pareggi pallidi pallidi. E comunque il primo tempo di ieri contro la Slovacchia resta tra le pagine più nere del nostro sport nazionale,mai una volta che avessimo fatto il solletico a una squadra avversaria modesta, non un tiro in porta, non una giocata di qualità, una coltre di mediocrità che soffocava tutto e tutti della nostra nazionale. Usciamo dal Mundial perché siamo una squadra da quindicesimo o sedicesimo posto nelle classifiche internazionali. Buffon lo aveva detto, che sarebbe stato un gran risultato già l’arrivare ai quarti. A differenza della squadra che nel 1966 perse con la Corea, e che due anni dopo avrebbe conquistato il titolo di campione d’Europa, la nostra nazionale del giugno 2010 non ha il benché minimo presente né il benché minimo futuro. Non ha un’identità, non ha un canovaccio, non ha i due o tre giocatori che facciano da ossatura ognuno nel suo reparto. I trenta milioni di commissari tecnici della nazionale diranno che è tutta colpa dell’odiatissimo Marcello Lippi da Viareggio. È vero che Lippi non ha convocato Peppino Meazza, l’oriundo Omar Sivori, Gigi Riva, Sandro Mazzola, il Roberto Rosato del 1970, il Franco Causio del 1978, il Paolo Rossi del 1982, il Roberto Baggio del 1994, il Gigi Buffon del 2006. Non li ha convocati perché questi giocatori non ci sono o non ci sono più, né le generazioni ultime hanno prodotto giocatori alla loro altezza. Né qualcuno mi venga a dire che Lippi doveva portare Totti o addirittura Del Piero, giocatori che oggi sono  la controfigura dei monumenti calcistici che furono. E Cassano e Balotelli? Non sono sicuro che fossero indispensabili alla nazionale per come Lippi l’aveva costruita e se l’era immaginata. Di certo il futuro è loro, e anche se uno come Balotelli deve ancora trovare il posto di titolare nella sua squadra. Lippi ha lavorato con quello che aveva, altro non aveva, altro il calcio italiano di oggi non ha, tanto è vero che la compagine leader del nostro torneo non ha un solo italiano fra i suoi titolari. La buona parte dei titolari della nazionale odierna sarebbero  stati nient’altro che delle riserve in una qualsiasi delle nostre squadre degli ultimi vent’anni. Chi è troppo giovane non ricorda che c’è stato un tempo in cui in azzurro si contendevano il posto un certo Mazzola e un certo Gianni Rivera. Un tempo in cui un giocatore portentoso come Claudio Sala (“il Poeta”) stava in panchina perché sulla fascia destra scorrazzava un certo Causio. I più giovani non ricordano che lo strepitoso Boninsegna del Mundial del 1970, quello che dopo 120 minuti di guerra mondiale contro la Germania “strappa” sulla sinistra, si mangia un difensore tedesco e mette la palla al centro dell’area dove Rivera firma il gol iconico del 4-3, non era titolare in maglia azzurra.\r\nQuesto per il passato. Ieri indossavano la nostra maglia giocatori quali Maggio, Montolivo, Criscito, Marchetti. Mi vengono  i brividi a pensare che Pepe dovrebbefare nella ricostruenda Juve targata Andrea Agnelli quello che per tanti anni ha fatto Mauro German Camoranesi, il campione che Luciano Moggi aveva comprato per due lire. E senza dire delle vecchie glorie, quelli alla cui fedeltà Lippi si è immolato, capitan Cannavaro innanzitutto. L’ombra del giocatore che fu, talvolta imbarazzante, e lo diciamo con l’infinito affetto che ogni innamorato di calcio dovrebbe avere per lui. Peccato che il congedo gli sia stato così amaro. È la legge del calcio, è la legge della vita. Lippi ha fatto male a restare talmente  fedele ai suoi campioni del 2006, uno più acciaccato dell’altro? A cose fatte è facile dirlo. Laddove in linea di principio è del tutto naturale che un mister continui a puntare su quelli che conosce, su quelli che ha collaudato cento volte, su quelli che nelle circostanze più difficili sanno tirar fuori gli attributi. Lo aveva già fatto Enzo Bearzot nel Mundial del 1986, quando rimase fedele a un nugolo dei campioni del mondo di quattro anni prima, e anche quella volta ci buttarono fuori subito. E anche se a buttarci fuori fu la Francia condotta da monsieur Michel Platini, non la Slovacchia di Hamsik.\r\n\r\nDi Giampiero Mughini per ‘Libero’