Moggi: “Il garantismo rosa in ritardo di quattro anni”
A quanto pare sono in molti a chiedersi come mai e perché ad Abete, presidente della Figc, sia venuta in testa la brillante idea di modificare la regola sul tesseramento dei giocatori extracomunitari, riducendoli da due ad uno. Immaginate la felicità di quelle squadre che ne avevano magari già comprato qualcuno. Le proteste sono salite e si tratta di cose serie perché attengono al mercato in fase avanzata: non si può scherzare in questo momento della stagione, per cui l’unica cosa ragionevole che resta ad Abete è fare retromarcia. Il direttore della Gazzetta dello Sport è sceso in campo a difesa di Ruggiero Palombo, uno dei suoi vice, sulla questione della intercettazione del 7 marzo 2005 tra lo stesso Palombo e l’ex designatore Paolo Bergamo. Comprendo la difesa, non capisco i toni usati. E non condivido per niente il suo giudizio sulla “manipolazione” della telefonata. Ora la questione di base mi sembra del tutto semplice. In presenza di una designazione degli arbitri per sorteggio, attraverso le griglie, non si poteva modificare o aggirare questa normativa. Palombo dice a Bergamo che aveva sbagliato a non inserire il nome di Collina nella griglia di Roma-Juve. Bergamo spiega che le regole per la composizione delle griglie non permettevano la forzatura suggerita da Palombo per indirizzare Collina verso l’arbitraggio di Roma-Juve. E poiché Palombo insiste, Bergamo giunge a dire «ma perché ci volete far fare degli imbrogli? Aggiriamo le regole proprio noi che siamo designatori?». Curioso che di questo parere, più o meno, fosse anche Facchetti quando anche lui voleva Collina e chiedeva ai designatori di usare una griglia con preclusioni di comodo… Quando Mazzei gli spiegava che bisognava comunque fare il sorteggio (effettuato da un giornalista), Facchetti mostrava di non capire. Dico al direttore della Gazzetta che è inutile proseguire se ammettiamo che Bergamo non era disponibile ad aggirare la norma. E se la Gazzetta sosteneva che si doveva fare diversamente per il superiore bene (?) del campionato, ciò equivaleva a suggerire griglie fasulle. Tutto il resto sono chiacchiere, e in quanto alla contestualità, invocata ora da Palombo, c’è da rimanere stupefatti. Quattro anni fa non si parlò mai di contestualità degli avvenimenti: i colpevoli erano già indicati come tali dalla Gazzetta ben prima della sentenza. Ma c’è di più, la Gazzetta scopre adesso l’«uso dissennato» e – udite udite – la «diffusione illegale» di un’intercettazione. Strano che non abbia inteso così quelle pubblicate nel 2006, coperte ancora dal segreto istruttorio, e quando titolò in prima pagina «processateli». Strano che Andrea Monti non risponda sul ruolo avuto dal suo redattore Maurizio Galdi nel processo, nel quale è stato “utilizzato”(lo dicono il colonnello Auricchio, il maresciallo Di Laroni e i documenti) come «fonte utile per le indagini». Una partecipazione attiva e non neutra come si addice a un giornalista. E per la Gazzetta era tutto normale, visto che ha continuato a mandarlo come inviato al processo di Napoli. Intravedo, e mi dispiace, nella postilla di Monti una sorta di “avvertimento ai naviganti” su eventuali nuove intercettazioni che chiamino in causa Palombo. La mia difesa non si preoccupa certo di questo perché cerca solo la verità. Ho l’impressione che Monti sia arrivato da troppo poco tempo alla Gazzetta e ignori come sia stata seguita una certa vicenda. Palombo lo sa, ma di sicurono non ha interesse a farglielo sapere.\r\n\r\n(Di Luciano Moggi per ‘Libero)