Moggi: “Moratti sapeva delle telefonate di Facchetti. Restituisca lo scudetto di cartone”

Da un paio di giorni la gente per strada mi sorride. Accadeva anche prima, ma ora sono sguardi diversi, meno contratti. Tuttiripetono in serie la stessa cosa: «Grande Luciano, eccola qui la tua rivincita». Li ringrazio, davvero, ma prima ho il dovere di chiarire due cose. 1) Non sto godendo per quello che Palazzi ha scritto nella sua relazione, non cerco alcuna vendetta. Semplicemente sono felice perché d’ora in poi nessuno potrà più darmi del bugiardo. Nessuno. 2) Mi va di spiegare com’è andata questa dannata faccenda una volta per tutte.\r\n\r\nDa ormai cinque anni io e gli altri accusati ripetiamo a cantilena lo stesso mantra: “Tutti telefonavano, tutti facevano…”, ma provare a convincere chi non vuol sentire è un’impresa impossibile. Anzi no, “quasi” impossibile. Se ti chiami Luciano Moggi e tutto quello che hai te lo sei guadagnato col lavoro, non ti arrendi mai. Chi ha voluto farmi fuori dal calcio questa cosa non l’ha presa in considerazione. Hanno pensato: “S’arrenderà” e nello stesso esatto momento si sono fregati.\r\n\r\nVi spiego in maniera sintetica come si fa in Italia a far venire a galla la verità (almeno nel mio caso): bisogna avere tanto tempo, molto denaro, infinito coraggio e un po’ di fortuna. Al termine del processo sportivo ero psicologicamente devastato. Continuavo a pensare a quelle 21 telefonate scelte col lanternino tra oltre 173mila per giustiziare il sottoscritto e pochi altri sfortunati. Ho parlato con i miei avvocati e ho pensato alle due alternative possibili: dimenticarsi di 172979 intercettazioni accantonate o armarsi di pazienza e decidere di spulciarle tutte, una per una. Ho scelto di non fermarmi e la cosa mi è costata un sacco di soldi: 300 mila euro circa. Ho comprato una marea di cd, ho organizzato veri e propri “gruppi d’ascolto” e piano piano sono saltati fuori i nomi di tutti quanti: dirigenti, presidenti, arbitri, tesserati vari. Tra questi c’erano anche il compianto Giacinto Facchetti (una brava persona, ma qui non stiamo valutando se uno è buono o cattivo, ma se “ha fatto o non ha fatto”) e Massimo Moratti: ovvero l’Inter.\r\n\r\nTanti penseranno: Moggi ce l’ha con Moratti e ha fatto di tutto per trovare prove contro i nerazzurri. Non è così: Moggi ha perso davvero la pazienza quando la Juventus (nella persona dell’avvocato Zaccone) ha scelto di non difendersi. Accettando la serie B il club per cui ho dato tutto mi ha mandato in pasto ai leoni: “Volevate un colpevole? Eccolo”. Non potevo lasciarmi trucidare senza reagire. L’altra spinta mi è arrivata da quelle persone che – come me – sono finite nel frullatore. Gente rasa al suolo nel privato, negli affetti, gente che non meritava di finire massacrata da tutto e tutti. Penso ai vari Dattilo, Bertini,De Santis, Cassarà. Penso soprattutto a Pieri, ex arbitro costretto a scegliere il rito abbreviato per questioni di liquidi: senza soldi è impossibile affrontare un processo (quello penale) infinito e dispendioso. L’hanno ingiustamente condannato a 28 mesi in primo grado. Con loro prima del 2006 avevo un rapporto normale, di quelli che tutti i dirigenti costruivano con i fischietti; dopo quello che abbiamo passato invece sono diventati veri e propri amici.\r\n\r\nQuando a Napoli il pm Narducci ha recitato la frase «piaccia o non piaccia non ci sono telefonate tra Bergamo e Pairetto con Moratti» in aula abbiamo sorriso. Sapevamo che era una bugia e sapevamo che sarebbe stata smascherata. Il presidente dell’Inter – ben servito da Guido Rossi – ha deciso di impossessarsi di un titolo non vinto sul campo e ha fatto un clamoroso errore: in fondo era a conoscenza dei dialoghi tra Facchetti e i designatori. Ora il patron nerazzurro, proprio come è accaduto a me, ha due possibilità: 1) Si può aggrappare a uno scudetto che non gli appartiene fingendo di essere immacolato. 2) Può ascoltare il mio consiglio: prenda questo scudetto che i più definiscono “di cartone” e lo restituisca spontaneamente. Con molto ritardo farebbe la cosa più giusta.\r\n\r\nDi Luciano Moggi per Libero