(Di Giacomo Scutiero) Era il 31 maggio, la prima conferenza stampa di Antonio Conte. La settima domanda per lui faceva così: “È meglio spendere 45-60 milioni per un solo giocatore, oppure spendere cifre più contenute per più giocatori?”. La risposta dell’allenatore fu quella giusta: “Spendere bene”. Che siano quarantacinque per Tizio, piuttosto che quindici per Caio, quindici per Sempronio e quindici per Pinco Pallino. Tre mesi fa la Juventus era da “aggiustare”. Non da rifondare. Siano fatte le volontà di Conte, pensò Marotta. O delle due almeno una.\r\nNonostante l’apparenza è spesso subdola, davanti agli occhi non c’è una creatura assestata. D’altra parte ammettere la rivoluzione è smentire se stessi: comprare tanti pezzi nuovi non significa sistemare, ma sostituire. Ferrara e Zaccheroni andarono allo sfascio con la macchina, rifatta in tredici punti. Stessa sorte per quella di Delneri, nove correzioni.\r\n\r\nSempre meno voglia di prendersi responsabilità. I mecenati di una volta spendevano e spandevano, raccogliendo briciole: la colpa non poteva essere dei “campioni” acquistati, ma di chi li guidava. Teoria discutibile, ma a quei presidenti si perdonava. Oggi il mecenate è altrove. In Italia poco denaro e molti prestiti, ricatti più che riscatti. Il discorso del presidente non cambia: la squadra è forte, l’allenatore la faccia vincere. La qualità è la promessa tradita. Non a Torino, ovunque. Sanchez, Pastore, Eto’o da loro; Bojan, Osvaldo e Forlan da noi. Non è più tempo di far sognare con ipocrite campagne mediatiche: il tifoso paga, benché inorridito da qualcosa somigliante a uno sciopero.\r\n\r\nSpendere bene, diceva Conte. Tappare i buchi, migliorare le mediocrità e, quel che è posto, perfezionarlo. A posto era l’attacco, ritoccato da poco e bene con Matri. La conferma di Del Piero è dettata dal merito, quella di Toni dal contratto; la Quaglia salta, ma con una ricostruzione al ginocchio. Non proprio un’unghia. Si pensava potessero ridursi a quattro, saranno sette. Definiti tagliati, Amauri e Iaquinta non si imbarazzano. Uno rifiuta ogni alternativa, l’altro ne ha poche (Andrea D’Amico non se ne fa una ragione). Sette(bello), comunque uno sperpero. Da Roma sbarca Vucinic: genio, regolatezza e discontinuità. Solo colpa della polveriera giallorossa, confidano a Vinovo. A centrocampo il tritacarne è in moto dal 2007: Zanetti, Almiron, Tiago, Sissoko, Poulsen, Melo, Aquilani. Pirlo e Vidal non vogliono finire a pezzi, Pazienza è d’accordo. Andrea giocherà finché polmoni e muscoli non imprecano. Ad Arturo non hanno detto dove piazzarsi: è già conscio di essere la pallina del flipper, da destra a sinistra, avanti e indietro. Sta all’allenatore, dicono i presidenti. L’impianto tattico è speculare, ma lo scarto tra la rosa di Delneri e Conte è palese. Il primo “godeva” di quattro esterni, tra questi uno attaccante (Martinez) e l’altro irrilevante (Lanzafame). Quest’anno basta una settimana per avere tre ali: Giaccherini, Estigarribia ed Elia. Aggregati a Krasic e Pepe. Antonio vuole comandare la partita, senza guardarsi indietro. Non gli conviene, perché in difesa c’era da operare ed è stato fatto solo in parte. Maicon non è acquistabile, il secondo solo a lui si: Lichtsteiner dalla Lazio per dieci milioni. Troppi? Moratti ne spende sei per Jonathan, e non è quello del GF. Lo svizzero impressiona per assenza di stasi, quando si ferma fa da chioccia a Sorensen. Con Motta ha già perso le speranze. Immaginava di voltarsi a sinistra e scorgere Ziegler. Il connazionale lo vedrà spesso dalla parte opposta, panchina o tribuna che sia. Quando Marotta lo prende Conte è ancora a Siena: questo è chiaro col terzino, sulle prime rispettoso e diligente. Poi la denuncia pubblica contro l’allenatore che non lo vede. E il probabilissimo onore di testare in anteprima le poltrone v.i.p. del nuovo stadio. Quanto a De Ceglie, implora la nuova rotula per gli straordinari. Davanti a Buffon, che a rigor di merito farebbe il secondo, tutto come prima. Nessun aiuto per Chiellini, Barzagli e Bonucci. Preferire Andreolli a Sorensen è da pazzi, e questi non sempre vanno assecondati. Meno peggio nudo che vestito di stracci.\r\n\r\nDa Giannino si beve e la tavolata è brilla. Si spaccia Aquilani per mister X, quello vero preferisce i nuovi mecenati. Eleggono Forlan il nuovo Eto’o, ma per dirsi nuovo dovrebbe essere perlomeno più giovane. E se Nocerino e Zarate sono colpi, è cosa buona e giusta unirsi alle condoglianze dovute a Palermo e Lazio, razziate di beni di primissima scelta. Pochi cambiamenti, ma lo scenario è difforme. I campioni d’Italia si aggrappano a Thiago e Ibra, l’altro monumento in mezzo alla piazza ha tolto il disturbo. I campioni del mondo si definiscono “fortissimi”: un mercato migliore di questo, senza Calciopoli e scialacquaSaras, non si è mai visto. Tornando a Zarate, prestito da tre milioni e riscatto a quindici. Un vero affare, per Lotito. Quasi quanto per Osvaldo alla Roma. Il nuovo Vucinic? Diciamo che almeno ha l’età dalla sua. Prima risparmiare era l’eccezione alla regola dello scialare, stradafacendo è diventata la moda di parecchi. Oggi è la necessita per tutti.Ogni estate ha il suo tormentone, e questa ha offerto il rifiuto del calciatore alla cessione. Perché se guadagna bene l’esubero dimentica di essere tale, oppure ha l’obiettivo dello svincolo. A meno che sia uno degli integerrimi seguaci di Tommasi, predicanti che il mobbing nel calcio non è sempre un azzardo dialettico: Pandev, Ledesma, Marchetti, Borriello, Amauri…\r\nAvessi il cellulare degli ultimi due gli chiederei: “Contenti che il campionato riparte l’11?”.