Interviste

Marotta: “Siamo l’alibi di chi perde, Allegri via? Non se ne parla nemmeno”

Giuseppe Marotta ha rilasciato una lunga intervista all’edizione di Tuttosport di oggi, 26 maggio 2017. Il CEO e General Manager dell’area sport della Juventus, ha spaziato tra tanti argomenti, partendo innanzitutto da un bilancio di questi suoi 7 anni in bianconero. Arrivato dalla Sampdoria, Marotta ebbe bisogno di un anno di transizione per gestire la ricostruzione di una grande Juve.

“Quando siamo arrivati alla Juve nel maggio del 2010 abbiamo trovato un ambiente sfiduciato – racconta – , ma soprattutto privo di cultura calcistica ed è quello che, in primis il presidente, poi noi dirigenti, abbiamo cercato di riportare all’interno del club”.

Dall’anno di Del Neri alla finale di Cardiff passando per quella persa a Berlino. Ne ha fatta di strada la Juventus di Marotta…

“La finale di Cardiff è la realizzazione di un progetto: pensato, mediato e realizzato. Berlino – continua il dg bianconero – fu un insieme di fattori non tutti calcolati, anche se il valore di quel percorso resta alto. Ci mancavano mentalità ed esperienza. Le abbiamo ottenute con due strade: da una parte con la crescita delle persone che erano già nella società e nella squadra, che hanno acquisito sicurezza ed esperienza nel corso degli ultimi anni; dall’altra con l’inserimento di giocatori come Khedira e Mandzukic fino a Dani Alves, che quest’impronta ce l’avevano ben forte”.

Insomma, con questi presupposti, la Juventus è destinata a farla da padrona ancora per tanti anni in Italia.

“Juve senza avversari in Italia? Non sono d’accordo – replica Beppe Marotta – . Roma e Napoli hanno sempre inanellato risultati positivi. Credo che la seconda classificata in questi anni abbia perso al massimo cinque o sei volte a stagione e questi sono numeri che dimostrano la loro competitività”.

Il segreto della Juventus? Si valutano i giocatori in base a due livelli, in modo da essere sicuri di poter aumentare il valore della rosa nell’immediato, o al massimo nel futuro prossimo.

“Come si sceglie un giocatore da Juve? Due livelli: o prendiamo un campione già affermato, vedi Dani Alves, Mandzukic, Khedira, Higuain, eccetera. Oppure cerchiamo il talento. Ma, attenzione, un talento che possa diventare campione: cioè uno che accanto alle qualità tecniche dimostri di avere dei valori umani che lo trasformano in campione, come per esempio è capitato a Dybala. Con Paulo ci saranno, come da nuovo contratto, delle comuni attività di valorizzazione e c’è l’intenzione di fare un lungo percorso insieme”.

Dopo gli acquisti di Pjanic e Higuain, i club italiani hanno cominciato ad inserire nei contratti clausole rescissorie altissime e valide solo per l’estero. Una pratica che la Juventus non intende nemmeno prendere in considerazione.

“La clausola rescissoria? È una follia, non la metterò mai su un giocatore. Non è un vantaggio, ti mette nelle condizioni di debolezza. Senza clausola niente Higuain? Non so se De Laurentiis avrebbe comunque rifiutato 90 mln… Tifosi arrabbiati con noi perché non difendiamo abbastanza il club dagli attacchi esterni? Io sono stato per qualche decennio dirigente di squadre meno importanti della Juventus e ho sempre visto la Juventus come una società forte e vincente. Quando uno è forte e vincente – ammette – subentra la cultura dell’invidia e quindi la vittoria viene denigrata o svilita. Quando uno vince è perché è più forte in tutte le componenti. Purtroppo nel nostro calcio c’è molta cultura dell’invidia e poca cultura della sconfitta. In Italia, spesso i nostri avversari hanno perso dando la colpa all’arbitro o qualcos’altro. Questa è la cultura dell’alibi. È un concetto sbagliato da sradicare, perché toglie responsabilità ai giocatori, alimentando in loro una mentalità perdente. Se noi in questi sei anni abbiamo fatto quasi cento punti più del Napoli e della Roma e non so quanti più delle milanesi non si può discutere la supremazia chiara e netta. La Juve è sempre sotto attacco – insiste Marotta – perché è un bersaglio che garantisce molta popolarità a chi lo colpisce. I benpensanti del nostro Paese hanno capito che parlare male della Juventus genera consensi, anche per una questione meramente statistica: ci sono quattordici milioni di juventini e tutto il resto è contro”.

In questi giorni sono arrivati attestati di stima da diversi club europei a Fabio Paratici: su tutti, il Paris Saint Germain sarebbe pronto ad affidargli la carica di direttore sportivo. La Juventus non ha alcuna intenzione di privarsene:

“Paratici? È innamorato del suo lavoro. Vive per il calcio e ha un’organizzazione micidiale, una rete di osservatori validissima e un metodo di lavoro… Lui passa la vita a vedere allenamenti e partite, analizzando tutto. Quella della scorsa estate forse una delle migliori campagne acquisti della nostra storia. Adesso però non vorrei che si generasse l’aspettativa di qualcosa di simile. Vogliamo rafforzare la squadra, questo è certo. Il colpo migliore della mia gestione? Andrea Pirlo, da più parti era considerato un giocatore finito. Cessioni eccellenti in vista? Assolutamente no. Nessuno vuole andare via e noi non abbiamo come obiettivo quello di realizzare plusvalenze”.

Presto, però, ci sarà da sciogliere il nodo Kean con Mino Raiola, uno che può essere un grande alleato, ma anche un cattivo cliente.

“Kean? Dobbiamo negoziare la sua permanenza con l’agente, Mino Raiola. E non possiamo andare oltre certi parametri economici sul suo stipendio… Apprezzo molto Mino: con lui si può litigare ma ha una sola parola, non è ambiguo come altri suoi colleghi”.

Infine, la battuta sul futuro di Massimiliano Allegri, che a meno di clamorose sorprese, non si muoverà da Torino.

“Allegri via dopo il 3 giugno? Noi speriamo che non accada, perché ci piacerebbe andare avanti con Allegri che ha dimostrato di essere un grande allenatore, ora è uno dei migliori al mondo. Dopo Cardiff ci sederemo al tavolo e non solo con Allegri per ascoltare tutti. Al momento non ci pensiamo neanche a cambiare. Non lo consideriamo”, conclude Marotta.

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Pubblicato da
Alberto Zamboni