Il filo, riannodato a faIl filo, riannodato a fatica, si è spezzato. Ognuno per la sua strada: questo il verdetto del nuovo e (per ora) ultimo faccia a faccia fra Lega di serie A e Associazione calciatori. «La trattativa si è interrotta…», così il presidente dell’Aic, Sergio Campana. «Con l’atteggiamento attuale dei rappresentanti dei giocatori non si va da nessuna parte e non si costruisce l’accordo…», così Maurizio Beretta, numero uno della Confindustria del pallone.\r\nL’accordo da trovare è quello sul nuovo contratto collettivo, un’intesa naufragata ieri dopo otto ore di duro confronto e che, adesso, riapre prepotentemente le porte dello sciopero del campionato di serie A. Il terreno del duello è noto, a far deflagrare la già fragile volontà di mettersi d’accordo è stata la «bozza» finita sul tavolo dell’Aic due settimane fa. «Ma quali sei o otto punti, qua c’è ben altro…», è stata l’immediata, e infastidita, reazione dei sindacalisti. Tradotto: nel documento, la Lega di A, riscrive un contratto collettivo dove completa è la rivoluzione rispetto al testo scaduto nel giugno scorso e redatto nel 2005. I giocatori contestano, fra gli altri, il punto sui fuori-rosa, quello sull’obbligo di accettare un trasferimento a pari condizioni economiche e di competitività, la diversa gestione della tutela sanitaria e, inseriti con loro sorpresa nella «bozza», l’impossibilità di mettere in mora il club se non dopo sei mesi e il rischio di perdere il contratto se, per colpa di un infortunio o di una malattia, l’assenza dai campi da gioco si protragga oltre i tre mesi.\r\nLe società hanno le idee chiare e, soprattutto, l’intenzione di non rinunciare ad aspetti giudicati indispensabili per la stessa sopravvivenza del sistema calcio. L’Associazione calciatori, ieri, ha abbandonato il tavolo perché «per noi certe richieste sono e resteranno irricevibili». Cosa accadrà adesso? Il pallone avvelenato finirà dentro le due assemblee: quella della Lega che si riunisce oggi e quella dell’Aic che verrà convocata nelle prossime ore. I giocatori sono sempre stati chiari, ovvero niente calcio se l’accordo dovesse saltare per l’ostruzionismo dei club su determinati punti. Ad oggi, la possibilità di intesa è fallita così, senza nuove, e diverse, proposte della Lega, l’assemblea dell’Aic deciderà la nuova linea da seguire. Due le ipotesi: o aspettare comunque il 30 novembre, data che le parti si erano date per siglare un accordo, e poi fermarsi il 4 e 5 dicembre (strada caldeggiata dalla maggioranza) o annunciare subito lo sciopero per il turno infrasettimanale del 10 novembre. La Figc vigila: il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, è, da arbitro imparziale, preoccupato per come il corto circuito si stia allargando. «Mi aspetto che il numero uno della Figc riconvochi le parti. Lo sciopero dei giocatori sarebbe grottesco ed immotivato», così Beretta. Nei poteri di Abete c’è quello di nominare un commissario ad acta per la riscrittura del nuovo contratto collettivo. Opzione che diventerà inevitabile se entro la fine di novembre i duellanti saranno ancora distanti.tica, si è spezzato. Ognuno per la sua strada: questo il verdetto del nuovo e (per ora) ultimo faccia a faccia fra Lega di serie A e Associazione calciatori. «La trattativa si è interrotta…», così il presidente dell’Aic, Sergio Campana. «Con l’atteggiamento attuale dei rappresentanti dei giocatori non si va da nessuna parte e non si costruisce l’accordo…», così Maurizio Beretta, numero uno della Confindustria del pallone. L’accordo da trovare è quello sul nuovo contratto collettivo, un’intesa naufragata ieri dopo otto ore di duro confronto e che, adesso, riapre prepotentemente le porte dello sciopero del campionato di serie A. Il terreno del duello è noto, a far deflagrare la già fragile volontà di mettersi d’accordo è stata la «bozza» finita sul tavolo dell’Aic due settimane fa. «Ma quali sei o otto punti, qua c’è ben altro…», è stata l’immediata, e infastidita, reazione dei sindacalisti. Tradotto: nel documento, la Lega di A, riscrive un contratto collettivo dove completa è la rivoluzione rispetto al testo scaduto nel giugno scorso e redatto nel 2005. I giocatori contestano, fra gli altri, il punto sui fuori-rosa, quello sull’obbligo di accettare un trasferimento a pari condizioni economiche e di competitività, la diversa gestione della tutela sanitaria e, inseriti con loro sorpresa nella «bozza», l’impossibilità di mettere in mora il club se non dopo sei mesi e il rischio di perdere il contratto se, per colpa di un infortunio o di una malattia, l’assenza dai campi da gioco si protragga oltre i tre mesi. Le società hanno le idee chiare e, soprattutto, l’intenzione di non rinunciare ad aspetti giudicati indispensabili per la stessa sopravvivenza del sistema calcio. L’Associazione calciatori, ieri, ha abbandonato il tavolo perché «per noi certe richieste sono e resteranno irricevibili». Cosa accadrà adesso? Il pallone avvelenato finirà dentro le due assemblee: quella della Lega che si riunisce oggi e quella dell’Aic che verrà convocata nelle prossime ore. I giocatori sono sempre stati chiari, ovvero niente calcio se l’accordo dovesse saltare per l’ostruzionismo dei club su determinati punti. Ad oggi, la possibilità di intesa è fallita così, senza nuove, e diverse, proposte della Lega, l’assemblea dell’Aic deciderà la nuova linea da seguire. Due le ipotesi: o aspettare comunque il 30 novembre, data che le parti si erano date per siglare un accordo, e poi fermarsi il 4 e 5 dicembre (strada caldeggiata dalla maggioranza) o annunciare subito lo sciopero per il turno infrasettimanale del 10 novembre. La Figc vigila: il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, è, da arbitro imparziale, preoccupato per come il corto circuito si stia allargando. «Mi aspetto che il numero uno della Figc riconvochi le parti. Lo sciopero dei giocatori sarebbe grottesco ed immotivato», così Beretta. Nei poteri di Abete c’è quello di nominare un commissario ad acta per la riscrittura del nuovo contratto collettivo. Opzione che diventerà inevitabile se entro la fine di novembre i duellanti saranno ancora distanti.\r\n\r\nCredits: La Stampa\r\nFracassi Enrico