La Stampa: in caso di disfatta a Cesena, Gentile o Casiraghi per il dopo Del Neri

Per uno degli assiomi fondanti della Juve che fu, la voglia sarebbe quella di continuare con Gigi Delneri fino al termine della stagione, comunque sia. E così, a notte fonda dopo la sconfitta con il Milan, ribadiva l’ad Beppe Marotta: «Andiamo avanti così». Gli allenatori non si scartano come caramelle, insomma, e l’erede di Gigi sarebbe il settimo pescato in cinque anni scarsi. Il guaio è che i risultati stanno rotolando proprio male e la classifica peggio: ormai la qualificazione alla Champions è al di là dell’orizzonte degli eventi, dieci punti avanti, e per come viaggia l’odierna concorrenza, buona grazia se alla fine i bianconeri avranno varcato la frontiera dell’Europa League. Non bastasse, la squadra è ostaggio di «un blocco psicologico», ancora referto firmato Marotta, e per riattivarla a volte risulta necessario un elettrochoc, cioè il sacrificio dell’allenatore. Così, nelle ultime ore, in società sta maturando l’eccezione: se il tecnico, che poi vuol dire squadra, fallirà anche la trasferta di Cesena, potrà essere deposto, perché difficilmente difendibile.\r\nAl solito, e i vertici bianconeri lo sanno, Delneri non è l’unico imputato del crollo juventino, di punti e di gioco, ma così rotola lo strano mondo del pallone: farne fuori uno, perché non puoi licenziarne ventidue, di giocatori. Già da stamattina, potrebbe ripetersi la liturgia in tempi di crisi, con la visita di Delneri in sede, per un colloquio con il presidente Andrea Agnelli, l’ad Marotta e il coordinatore dell’area tecnica, Fabio Paratici. Anche se da dirsi, non resta poi tanto. Preso atto degli infortuni, che certo hanno contribuito a frantumare gli equilibri, bisognerà trovarne in fretta di nuovi e magari smetterla di scorrere la lista dei caduti: passi per Aquilani, uno che può raddrizzare le geometrie e soprattutto è aggiustabile in una settimana, ma ricordare pure Sissoko e Quagliarella, inutilizzabili per questa stagione, non aiuta granché. In fondo, con tutti i peccati imputabili a tecnico e giocatori, questa è una squadra che, in campionato, fino a gennaio aveva comunque funzionato, producendo fatturato e, a tratti, pure buon calcio. Dopo la virata natalizia il meccanismo s’è scassato, di brutto, e l’impressione è che contro Cagliari e Inter i combustibili siano stati rabbia e orgoglio: ora anche quei serbatoi paiono a secco, se contro i rossoneri non si sono visti cartellini gialli e neppure una minima reazione pavloviana dopo il gol beccato. Domande senza risposte, dice Claudio Marchisio, uno dei più onesti e lucidi nell’analisi. Sarà meglio scovarne, agendo su questioni tattiche e motivazioni. Sul campo, una delle ipotesi è di variare il consueto assetto, passando dal tradizionale 4-4-2 al 4-1-4-1 sperimentato, con buon successo, a Cagliari: Felipe Melo davanti alla difesa, Aquilani e Marchisio interni con licenza di assalto, Krasic e Martinez piuttosto larghi, e Matri davanti. Per recuperare se non fiducia, almeno tranquillità, viene giudicato inutile un ritiro, ma piuttosto potrebbe essere anticipato di un giorno quello verso la trasferta di Cesena. Ci si giocherà tutto, perché una sconfitta sarebbe quasi ingestibile, in un ambiente diventato ormai ostile, come l’Olimpico. Andasse male, la Juve si troverebbe a dover assumere un supplente, fino a giugno: la prima scelta sarebbe Pavel Nedved, con il quale, eventualmente, si ritenterà, perché «potrebbe dare una scossa alla Montella». Altrimenti sarebbero pronti Claudio Gentile o Pierluigi Casiraghi. Ma è una sterzata che Andrea Agnelli e Beppe Marotta sarebbero ben felici di non fare. Per antica legge e convinzione: gli allenatori si lasciano lavorare finché non è chiusa la stagione. Da giugno se ne apre un’altra, e lì si dovrà riprendere la ristrutturazione, in ogni caso.