Juventus, Ciro Ferrara ed il “Fattore De Ceglie”
Potremmo chiamarlo fattore De Ceglie. Un anno fa, era il 18 di ottobre, la Juventus conosceva una crisi acuta, culminata nella sconfitta (ingiusta) di Napoli: i bianconeri venivano da due pareggi e un ko interno contro il Palermo, avevano una squadra devastata dagli infortuni e Ranieri era più criticato all’interno della società che fuori. Quel giorno i bianconeri giocarono una partita sfortunata, passarono in vantaggio con Amauri ma vennero raggiunti da Hamsik.\r\nDopo il pareggio, andarono in difficoltà e Ranieri, a venti minuti dalla fine, tolse Del Piero e mise De Ceglie per difendere il risultato e proteggere una fascia di cui il Napoli stava prendendo possesso. Tutti inutile: a 10′ dalla fine segnò Lavezzi e la Juve toccò il punto più basso dopo il ritorno in serie A, anche se da lì cominciò una serie di vittorie consecutive (comprese le due con il Real in Champions) che riportò i bianconeri in alto. \r\nMa quel cambio Del Piero-De Ceglie venne trasformato in un caso paradigmatico, qualcuno si spinse a dire che un allenatore capace di organizzare una staffetta del genere non era degno di sedere sulla nobile panchina juventina. Se a Ranieri non era mai stato perdonato nulla (a cominciare da molti che lavoravano all’interno del club), da quel giorno in poi il suo destino torinese venne segnato in maniera ineluttabile.\r\nUn anno dopo, Ferrara mette De Ceglie (al posto di Iaquinta) per cercare di sbloccare un pareggio casalingo. Oppure lo inserisce al posto di Diego per tentare di rimediare a una pesante sconfitta esterna (a Palermo). Ma nessuno grida allo scandalo. Ecco uno dei vantaggi che ha rispetto a Ranieri: nessuna opposizione interna e molta accondiscendenza esterna, anche se alla fine della gara con la Fiorentina ha dovuto incassare i primi, seppure pallidi, fischi della sua carriera dell’allenatore.\r\nDe Ceglie, poverino, è protagonista involontario di queste faccende, ma diventa simbolo di un momentaccio che la Juventus non riesce a risolvere nonostante – rispetto a un anno fa – sia cambiata non soltanto la guida tecnica, ma anche la caratura della squadra, teoricamente irrobustita con investimento da 50 milioni di euro. I punti restano tre in più in raffronto al campionato passato (ma in Champions League sono due in meno), però di progressi continuano a vedersene pochi a ogni livello, dalla condizione fisica (non brillantissima) alla gestione degli infortuni fino alla situazione tattica, che sembra in netto peggioramento, con difficoltà clamorose ad assimilare il 4-3-1-2.\r\nI nuovi acquisti, poi, stanno deludendo: Melo è più dannoso che utile, Diego sembra del tutto estraneo ai movimenti della squadra anche se la sua classe è decisamente superiore, Grosso giustifica i motivi per cui il Lione ha tanto insistito per sbarazzarsi di lui. Merita complimenti soltanto Cannavaro. Il cammino è incerto: dopo le quattro vittorie iniziali (ma quelle con Livorno e Lazio erano immeritate, mentre con la Roma s’è approfittato di una squadra ormai allo sbando e pronta al cambio della guida tecnica), la Juve ha smesso di vincere e soprattutto di giocare in modo decente, se si eccettua il pareggio (quello, invece, decisamente stretto) in casa del Genoa.\r\nI bianconeri non riescono a rovesciare sul campo niente di più di un notevole impatto fisico, mentre sono quasi imbarazzanti le difficoltà in fase di non possesso palla. È la regola concedere contropiedi in superiorità numerica, così come è la regola lasciare spazi enormi al fantasista altrui, da Pastore a Jovetic, da Candreva a Muller. Mercoledì a Torino arriva il Maccabi, l’occasione è buona per ingoiare un’aspirina. Non resta che attendere.\r\n\r\nCredits: La Repubblica\r\nFracassi Enrico – Juvemania.it