Accolto sul pianeta pallone quasi fosse un alieno, Jean-Claude Blanc sta diventando uno di quelli che ne pilota il cambiamento: ha governato la crisi juventina da amministratore delegato, ora ne comanderà la seconda fase da presidente esecutivo, da uomo solo al comando, insomma. Messi i piedi nel fu G14, ha contribuito ad accompagnarne la chiusura e la nascita della nuova associazione dei club europei, da convinto seguace di Michel Platini sul financial fair-play: spendo solo i soldi che ho. Non male per «un pollo», come disse uno dei primi procuratori che se lo ritrovò davanti. In tre anni, il neofita, e quelli che hanno lavorato con lui, ovvio, hanno rimesso in piedi la Juve dopo il sisma di Calciopoli, ne hanno sistemato i conti e l’hanno riportata in Champions League.\r\nNato il 9 aprile 1963 a Chambery, laurea in International Business a Nizza, un Mba (tradotto, un master in Business administration) alla Harvard Business School di Boston, in effetti Blanc viene da un altro mondo: direttore organizzativo dell’Olimpiade di Albertville 1992, poi al Tour de France, alla Parigi-Dakar e, prima di arrivare alla Juve, l’11 maggio 2005, come membro del cda, al Roland Garros. Da quei territori extracalcistici, lo descrivevano come un dirigente alla mano, diretto, «non presuntuoso, come capita a invece a molti francesi». Neppure nazionalista se la prima testa tagliata fu quella di Didier Deschamps, quando l’agente del tecnico riaprì la trattativa a serie A conquistata. L’ad aveva sempre difeso il tecnico, stimando pure l’uomo («Dopo la prima sentenza, in B a meno 30, molti sarebbero scappati, lui no»), ma fu inamovibile di fronte alla nuove, inattese richieste.\r\n«Una persona sempre educata – racconta chi da tre anni gli lavora a fianco – dai modi mai arroganti, ma anche un dirigente risoluto. Traccia la riga e non va oltre». Prendere o lasciare. Così chiuse pure la trattativa con Trezeguet, nella stessa estate 2007, quando l’attaccante aveva già salutato tutti. Ha altre usanze, rispetto ai commerci calcistici: «Blanc è uno che crede nella lealtà: Deschamps, per esempio, aveva firmato un triennale appena dieci mesi prima. Ormai nel calcio i contratti vanno quasi subito fuori corso, lui vorrebbe riportarli al valore che hanno ovunque». Poi, da subito, ha puntato forte sull’esigenza di costruirsi uno stadio di proprietà, indispensabile per tenere in ordine il bilancio. L’ultima (decisiva) sfida, oltre far quadrare i conti, è quella di vincere qualcosa dopo tre anni: in una società di calcio essere bravi manager aiuta, ma non basta. E dire che il pallone l’aveva conosciuto solo da tifoso («del St.Etienne») e da volenteroso libero («più fisico che tecnica»), ma poi aveva virato su tennis e sci. Ma è nel calcio che dovrà vincere, a partire da quest’anno dove la spesa s’è fatta: Felipe Melo 25 milioni di euro, Diego 24,5. «Sono due anni che non dormo bene – confessò l’anno scorso – perché abbiamo molte responsabilità. Ed è giusto che chi lavora alla Juve non dorma bene: anche quando le cose girano per il verso giusto dobbiamo sempre riflettere su come migliorare». Vincere qualcosina, sarebbe un buon sonnifero.\r\n\r\nCredits: La Stampa\r\nFracassi Enrico – Juvemania.it