Il progetto Juve non c’è più

roberto-beccantiniAltro che partita-scudetto. Otto punti di distacco: Juventus-Inter di sabato sera rischia di essere una banale tappa di trasferimento il cui ordine d’arrivo, se mai, potrebbe incuriosire il Milan, corsaro a Catania con i primi morsi di Huntelaar e secondo in classifica. Se le scelte di Mourinho hanno movimentato l’ordalia di San Siro (Balotelli in tribuna, Quaresma titolare e, udite udite, addirittura fra i migliori), la squadra di Ferrara «non» ha giocato a Cagliari come «non» aveva giocato a Bordeaux. Al Sant’Elia, visto che siamo in tema, avevano sofferto anche i campioni: non al punto, però, di arrendersi al destino. Come i buuu razzisti dei curvaioli cagliaritani (a Sissoko, questa volta), la Juventus è ormai un caso patologico. Si è dimessa da squadra. Se ogni tanto si appisolava Omero, perché non potrebbe farlo Buffon? Penso alla sventola di Nené. Il problema non è lui. Il problema rimane il gioco, che nessuno dei terzini e dei centrocampisti sa organizzare e incanalare: con o senza Felipe Melo. Amauri scomparso e isolato, Diego sparito, difensori imbarazzanti: sembra, la Juve apallica di Cagliari, un condominio piombato nel buio, con gli inquilini che pagherebbero a peso d’oro il possessore di un fiammifero. L’ingresso di Del Piero e il relativo rombo non riducono le proporzioni del disastro, anzi. D’accordo, la spinta di Pisano avrebbe giustificato il rigore più di quanto non lo suggerissero un braccio vagante di Caceres e un’ancatina a Diego, ma dal momento che non si può vivere sempre e solo di episodi, riesce difficile prendersela con la moviola. E così, dopo Blanc, anche Allegri infligge una lezione a Ferrara, la solitudine del quale avrebbe dovuto allertare la proprietà sin dall’estate. Il giovane e acerbo Trap poteva contare sulle dritte di Boniperti. Ferrara è ostaggio del labirinto tattico che lo ha inghiottito. In condizioni del genere, sarebbe consigliabile barricarsi dietro a un umile 4-4-1-1. La Juve, terza, ha gli stessi punti di un anno fa, 27; è l’Inter che va come un treno (35, due in più), tallonato dal Milan (28, uno in più). Altra musica, dal Barcellona alla Fiorentina: anche questo, un film già visto. Prandelli non ha fortuna (palo di Gilardino), ma il rigore c’era, e se ce n’era uno pure su Gilardino, non tutti gli arbitri avrebbero annullato il gol a Samuel per la trattenuta reciproca con Dainelli. Ballavano tre punti, la scorsa stagione, al primo incrocio fra Juventus e Inter; e non più di quattro, il torneo precedente. Otto lunghezze costituiscono un record e, pesate sulla bilancia delle ambizioni bianconere, un’umiliante zavorra al di là delle griglie estive, tutte pro Mourinho. L’azienda di Blanc e Ferrara si gioca la faccia tra Inter e Bayern. Quattro vittorie su quattro in avvio, poi un lento, inesorabile declino e una gran confusione: in campo e in panchina. Da Diego a Felipe Melo, il mercato non tira più. Aver prenotato il futuro (Lippi) senza aver cementato il presente (Ferrara) continua a sollevare dubbi, tremori. Il progetto si è rotto.\r\n(Roberto Beccantini per La Stampa)