Il maresciallo Zampa su Calciopoli: “Non c’è uno straccio di prova”

Il maresciallo dei carabinieri di Perugia, Francesco Zampa, ha analizzato in un libro il processo di Calciopoli e, nello psecifico, la conduzione delle indagini da parte del colonnello Auricchio. Un’indagine che il maresciallo ha analizzato minuziosamente, sintetizzando il tutto con un eloquente titolo: “L’elogio dell’inconsi­stenza”.\r\nIl racconto, è stato pubblicato oggi dalle colonne di ‘Tuttosport’: “Sì, sono un maresciallo in grado apicale in ser­vizio a Perugia, dove mi occupo di varie attività, fra le quali ricevere il pubblico, raccogliere le de­nunce, svolgere gli interrogatori, redigere rap­porti”.\r\n\r\nBIANCONERO FINO ALL’OSSO\r\n“Da quando sono nato. E ci tengo a sottolinear­lo, perché è proprio come juventino che ho scrit­to il libro su Calciopoli, da privato cittadino non da carabiniere, anche se logicamente non nascon­do il fatto di esserlo e di avere quel tipo di forma­zione“. Zampa ha scritto un libro a fumetti, proprio perchè “tante cose mi hanno spinto a scrivere e dise­gnare, ma una delle molle più importanti sono stati i miei due figli maschi, di 10 e 13 anni, tifo­si della Juventus come me. Volevo raccontare lo­ro questa storia in modo che capissero che esiste­va anche un’altra verità oltre a quella racconta­ta da certi media. E soprattutto perché imparas­sero la lezione che ho imparato io: sempre pen­sare con la propria testa e non credere a prescin­dere a quello che ci viene venduto senza prove a confermarlo”.\r\n\r\nDOVE SONO LE PROVE?\r\n”Nel 2006, quando uscirono le prime intercetta­zioni, io credetti alla colpevolezza della Juven­tus. Tutto era confezionato in modo impeccabile e mi dicevo: se hanno fatto delle indagini e sono arrivati a questa conclusione…” Ma poi: “Leggevo titoli molto forti sotto ai quali c’erano però ar­ticoli poco consistenti e pove­ri di circostanze precise per configurare l’illecito sportivo. Qualcosa non mi tornava. Poi uscì il fascicolo dell’E­spresso, “Il libro nero del cal­cio”, sostanzialmente una fo­tocopia del rapporto dei Ca­rabinieri che avevano svolto le indagini. Pensai che lì, nel lavoro investigativo dei miei colleghi, ci sarebbero state le risposte alle mie domande“. Ma il maresciallo non trovò alcuna prova: “Niente. Quel rapporto parte in modo anomalo, ovvero inizia con le conclusioni che do­vrebbero stare alla fine. Si usano parole gravi, si descri­ve una situazione molto preoccupante, ma non si en­tra mai nel merito dei fatti. E’ un po’ come se si scrivesse: “C’è un grande giro di droga, la droga la controlla tutta quel tizio, che è sicuramente uno spacciatore. Bene, ma quanta droga? Dove si trova questa droga? A chi è stata venduta? Come? Insomma, per tornare a parlare di Cal­ciopoli: dov’è la famigerata valigetta con i soldi o qualco­sa di simile? In un’indagine, dice pure Conan Doyle, biso­gna prima elencare i fatti, poi trarre le conclusioni. Qui la prima cosa è stata quella di trarre le conclusioni senza tante prove. Mi fa venire in mente una storia decisamen­te più drammatica ma assai simile per le dinamiche“.\r\n\r\nLE INTERCETTAZIONI NON BASTANO\r\n“Attenzione, le intercettazio­ni devono essere un mezzo non una prova in sé. Attra­verso le intercettazioni io posso, sempre per rimanere nell’esempio di un traffican­te di droga, scoprire dove e come effettua il suo commer­cio. Nel caso di Moggi biso­gnerebbe capire quando e co­me ha costretto un arbitro a favorire la Juventus. E di­venta difficile dimostrarlo senza una telefonata una fra Moggi e gli arbitri. Così co­me è difficile dimostrare che gli arbitri che avrebbero fat­to parte della cupola erano asserviti alla Juventus, visto che la media punti dei bian­coneri con loro è inferiore a quella con gli altri direttori di gara. Ribadisco: dov’è la droga? Per condannare ser­vono le prove e per me di pro­ve con rilevanza penale non ce ne sono, dal punto di vista sportivo forse sì, ma quella è un’altra storia”.