Il capitano di sempre: Gaetano Scirea

Oggi, Gaetano Scirea avrebbe 56 anni. Ne sono passati venti da quando ci lasciò. Se mai l’abuso dell’avverbio «improvvisamente» conserva un senso e, soprattutto, suscita un’emozione, lo dobbiamo a notizie come quella che la sera del 3 settembre 1989 – improvvisamente, appunto – mise in subbuglio le redazioni e agitò il cuore di molti appassionati. Riservato e timido com’era, non riesco a vederlo, Gaetano, nei panni di allenatore. Eppure, quella era la strada che aveva intrapreso, e quello il pretesto scelto dal destino: assistente di Zoff, era volato in Polonia a scrutinare il Gornik Zabrze, avversario della Juventus in Coppa Uefa (si chiamava così, allora). Scirea è stato un fuoriclasse nel ruolo di battitore libero, lui che era nato centrocampista. Per me, il migliore italiano di sempre: più completo anche di Franco Baresi. E poi i suoi silenzi, la sua lealtà: zero espulsioni, zero squalifiche. Ha interpretato il mestiere con lo stile e l’eleganza di Franz Beckenbauer, al quale, sotto sotto, immagino che si ispirasse. Il problema era nostro, mai suo. Alle domande, rispondeva con la pacatezza dell’uomo normale e non dava titoli ai giornali, li dava alla Juventus, alla Nazionale.

In suo onore, Enzo Bearzot avrebbe voluto ritirare la maglia numero sei. Gli hanno dedicato tornei, premi, strade e anche una curva che, ogni tanto, vomita cose brutte. Finiva, Gaetano, quando finivano le partite. E questo già allora, per quanto il Paese fosse meno gossiparo, procurava orticarie, determinava sbadigli. In campo, però, riempiva gli occhi con la sua testa alta e il suo repertorio. Ultimo alla difesa, sì, ma di una modernità straordinaria: sempre votato a impostare e raffinare il gioco, come documentano la doppietta in un derby vinto in rimonta e l’azione che, l’11 luglio del 1982 al Bernabeu, sfociò attraverso il suo passo e i suoi passaggi nell’urlo mondiale di Marco Tardelli. Vent’anni sono cifra tonda e grossa, che non può sfuggire – come altre, meno rotonde e meno obese – a un guizzo della memoria. Gaetano ha vinto tutto con la Juventus e la Nazionale. Ha lasciato impronte indelebili che, al di là dei giochetti di parole: «Un signor libero, un libero signore», noi addetti ai lavori non sempre abbiamo riconosciuto e seguito. Il suo calcio era, semplicemente e meravigliosamente, il calcio. Novanta minuti in punta di piedi, e poi di corsa sotto la tenda, a cucire insieme la carriera del campione e la vita della famiglia.
(Tuttojuve.com)

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Pubblicato da
Alberto Zamboni