“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: tavoli da pranzo in fiamme al largo dei bastioni di Angelino,
sorrisini ammiccanti di Zidane e apparizioni mariane di Pogba ai confini di Orione.
E ho visto Bernardeschi balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser per tentare la giocata.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come i sogni di ogni mercato.
È tempo di ripartire”.
Strana creatura il tifoso juventino: vince per anni con i bravi Matri e Quagliarella, ma sogna i top player. Poi quando finalmente li ha, ci sputa sopra. Non importa se un Carlitos Tévez o un Cristiano Ronaldo: il primo fa solo 50 gol in 96 gare, ma sbaglia (come gli altri) una finale che ha contribuito attivamente a far raggiungere alla Juve, mentre il secondo ne fa 101 in 133 partite, ma non essendo ancora bravo a compiere i miracoli pur essendo un dio del pallone, non riesce da solo a fargli vincere la Champions. E quindi sogna al contrario di nuovo i Matri e Quagliarella, nelle sembianze dei Belotti e dei Petagna. Boh.
Ma sono tanti i ragionamenti, spesso anomali, che in questi anni hanno accompagnato la presenza del tifoso medio juventino sui social. Concetti, riflessioni, perfino miti, diventati una sorta di mantra soprattutto in ogni sessione di mercato che, tra il serio e il faceto (pertanto non si offenda nessuno se giochiamo un po’), abbiamo raccolto insieme e, laddove possibile, provato a sfatare.
È la frase che apre e accompagna ogni sessione di calcio mercato della Juventus, sia in estate che in inverno. Che la società sia impropriamente assente (come spesso le accade ultimamente) durante la campagna acquisti, o viceversa sia attiva, con movimenti costanti e colpi in serie, in tutti i casi “moriremo tutti”. Perché o non ci siamo rafforzati abbastanza, o lo abbiamo fatto troppo e salteranno i bilanci, lo spogliatoio si spaccherà a causa delle rivalità interne, e cose di questo genere.
La Juventus per alcuni tifosi è sempre con le pezze al culo e coi libri contabili a un passo dal tribunale fallimentare. “Non ci sono soldi” è una frase che tanti tifosi ripetono spesso sui forum e sui social per giustificare un immobilismo societario causato spesso più dalla mancanza di una vera programmazione tecnica o dalla mancanza di idee sugli obiettivi di mercato, che dalla carenza di danaro. Ora, che la Vecchia Signora non possa spendere 180 milioni per Mbappè (e meno male, aggiungiamo noi, perché a tutto c’è un limite) è un dato di fatto. Che non possa spenderne una trentina per un Camavinga quando è pronta a sborsarne quaranta per Locatelli altrettanto. Il problema quindi non è la disponibilità economica in sé, ma come si decide di spendere.
La squadra francese è diventata giustamente il simbolo dello spreco che non porta a risultati tangibili. Alla faccia del Fairplay finanziario, la società dell’amico preferito di Ceferin, Al-Khelaïfi, continua a sperperare miliardi come se non c fosse un domani. Peccato che il troppo, spesso stroppia, e che puoi avere una versione calcistica degli Harlem Globetrotters come squadra, ma se non ci aggiungi mentalità, coesione e un allenatore che la sappia gestire tenendo a bada i viziatissimi campioni che hai, basta un Jonathan David qualsiasi per farti piangere.
Questo però non vuol dire che chi spende per rafforzarsi e comprare talenti o campioni sbaglia e debba essere usato come giustificazione per non far nulla: se uno che si muove piglia schiaffi, non vuol dire che stando fermi si evitino. Quindi, è vero che i soldi non sono tutto, perché occorre anche molta competenza per saperli spendere, ma di certo aiutano. E la loro mancanza, o comunque presenza ridotta, non giustifica le dormite su certi talenti a prezzi bassi, disponibili fuori dai confini italici. A proposito, “non possiamo prenderli tutti noi” è la risposta più comune che riceve chi fa notare proprio che molti talenti internazionali si accasino altrove a prezzi che la Juventus può permettersi.
Un’altra delle risposte molto in voga quando tiri in ballo giovani interessanti che per quattro spiccioli si accasano altrove. E’ vero, la Juventus in mediana avrebbe bisogno di sicurezze, ma queste certezze te le dà Locatelli? Se un Soumaré o un Renato Sanches sono da verificare a certi livelli, lo è anche l’azzurro. In nazionale in fondo è la riserva delle riserve, e al Milan ha fallito: chi ci assicura che adesso sia maturato e sia pronto a sostenere il peso di indossare una maglia importante? E se la sua dimensione fosse quella della provincia?
A questo punto è facile che l’interlocutore tiri allora in ballo un altro dei leitmotiv più gettonati, ovverosia, “basta stranieri! La Juventus deve puntare come sempre sullo spirito italico”. Tutto molto bello: a chiunque piacerebbe rivedere una versione moderna della Juventus del Trap o di quella di Lippi, dove a sinistra sfrecci un nuovo Cabrini, al centro guidi la difesa uno Scirea, mentre in avanti svetti un altro Vialli su giocate di un Del Piero. Peccato che da anni il nostro calcio non sforni talenti di quel livello altissimo, tant’è che il 90% degli attuali azzurri guarderebbero gli europei da casa se ci fossero ancora i vari Baggio, Totti, Del Piero, Maldini, Cannavaro, Vieri, Camoranesi, Baresi, e così via. Pertanto sarebbe assurdo cercare ancora “il blocco italiano”.
La leggenda della Juve operaia è un’altra molto in voga in questo periodo, specie quando viene proposta in combo con “l’identità italiana” e “i soldi non sono tutto”. Alcuni dei tifosi più giovani hanno conosciuto certe Juventus, come quella di Marcello Lippi, solo dagli articoli o dai video su YouTube, e credono quindi che quella squadra fosse formata in gran parte da gente pescata a caso in giro per lo Stivale. Invece non è così: vero è che grandi protagonisti di quella squadra furono anche calciatori definiti “comprimari”, tra l’altro di grandissimo talento, pertanto poco definibili “operai del pallone” in senso stretto, ma molti non si rendono conto del fatto che giocavano a fianco dei vari Vialli, Baggio, Deschamps, Paulo Sousa, Ferrara e Peruzzi, giusto per citarne alcuni. Atleti che all’epoca erano dei Top Player di livello mondiale, l’equivalente (non per caratteristiche ma per classe) oggi dei vari Lewandowski, Messi, Kantè e Buffon.
Quando le cose si mettono male in una discussione sul mercato, il tifoso medio filo societario prova a salvarsi in calcio d’angolo. Messo spalle al muro sulla bontà di un calciatore straniero appena accasatosi altrove a cifre più basse di quello più scarso che sta per prendere la Juventus in Serie A, ecco venir fuori le parola magiche: “rate e contropartite”. Peccato però che da anni, ormai, anche all’estero accettano nelle trattative formule di pagamento dilazionate nel tempo e anche calciatori.
Ormai messo alle corde, quando al tifoso medio viene fatto notare che come la si giri, quel calciatore che sta trattando la Juve non costituisce un grande rafforzamento per la squadra, arriva la solita frase fatta: “ok, dì quello che vuoi, ma rispetto al giocatore X o Y sarebbe un bell’upgrade”. Può darsi, ma la Juventus non deve sostituire un calciatore scarso o rotto con un normale update, ma con un atleta forte, che faccia la differenza a prescindere.
“Basta cadaveri che deambulano in campo!”. L’urlo si leva in alto ogni volta che un calciatore della Juve sbaglia match. Se poi questi è Cristiano Ronaldo o Bonucci, apriti cielo. Allora ecco che per magia, si rimpiangono improbabili sostituti, come Belotti, Petagna, Ronagnoli, il cugino o il compagno di squadra a calcetto: tutti sono più forti di quelli della Vecchia Signora, “perché almeno corrono”. Altro che ippica!
Altra leggenda metropolitana vuole che proprio senza CR7 e l suo stipendione, la Juve smiliarderà a destra e a sinistra poiché fino a ora è stato quel cattivone avido del portoghese a limitare la crescita della squadra. Lui e non invece gli errori sul mercato del duo Marotta-Paratici negli ultimi anni, l’ansia da plusvalenze con le conseguenti cessioni di calciatori importanti, e i mancati investimenti mirati e intelligenti. O gli acquisti improponibili a cui sono stati dati stipendi assurdi. Ingaggi capestro che, loro sì, pesano sul mercato e te lo bloccano, avendo un impatto importante sui conti dell’azienda. Ad ogni modo, se la Juve lo cedesse, i soldi risparmiati non porterebbero a Torino nessun campione a metà campo o altrove.
Un’altra delle cose più assurde che si sentono in giro: “Cristiano Ronaldo non è servito a niente, non ci ha fatto vincere la Champions. Per lo scudettino bastava un Matri qualsiasi”. E certo, in effetti senza i 100 e passa gol del Fenomeno portoghese la Juventus avrebbe passeggiato sugli avversari. Le reti le segnava il primo che passa. Nessuno che pensi al tipo di marcature spesso risolvi gara, agli avversari che si rafforzano ogni stagione e che per essere battuti necessitavano di miglioramenti come quelli apportati da CR7. Senza di lui, dubitiamo che i bianconeri avrebbero vinto gli ultimi tricolori ,specie l’ultimo con Sarri.
Per lo juventino medio, ogni calciatore sopra i 28 anni è infatti vecchio, decrepito e da museo. Poi magari guarda in TV il vecchio Robert Lewandowski (32 anni) trascinare il Bayern Monaco o l’anziano N’Golo Kanté (30 anni) correre per quattro tenendo in piedi da solo il centrocampo del Chelsea in finale di Champions League, e si chiede perché giocatori così non giocano nella Juventus. Perché prima il tifoso medio insiste per avere una squadra di giovani e giocatori che lui pensa siano funzionali (“mica dobbiamo collezionare figurine!”), ma poi quando si trova in un quarto di finale di Champions con i vari De Sciglio, Rugani e Bernardeschi si aspetta da loro lo stesso rendimento di Sergio Ramos, Chiellini e Cristiano Ronaldo, e li critica pure se non ci riescono.
È la frase, fotocopiata dalle dichiarazioni dei vari DS juventini di turno, che in genere il tifoso ama ripetere verso la fine del calciomercato, quando ormai ha capito che la società non comprerà nessuno degli obiettivi utili, e si fermerà quindi a quei due-tre carneadi che s’è convinta siano i nuovi Pelè, Platini e Maradona, magari in ruoli dove la squadra era coperta. D’altronde, per esempio, in un centrocampo mal costruito che da anni fatica, dove ti mancano qualità, dinamismo e fisicità, a cosa ti servirebbero un Pogbà o un Kantè (loro, o calciatori equivalenti)?
Frase usata random per sottolineare che anche gli altri club, oltre alla Juventus, non sono molto attive sul mercato. Quindi, mal comune, mezzo gaudio. Ora, a parte che certi paragoni non hanno senso perché poi magari le altre squadre in una settimana si scatenano e portano a termine 3-4 colpi importanti in un attimo, ma questo parallelismo è spesso stato fatto in passato con club tipo Real Madrid, Bayern Monaco o Manchester City, giusto per fare degli esempi, che tutto questo gran bisogno di intervenire sull’organico non ce l’avevano, considerando i campioni nelle loro rose.
Altra assurda convinzione è che ai tempi di Luciano Moggi fare il mercato era più semplice. Molti dimenticano (o sono troppo giovani per ricordare) che era il contrario: era molto più difficile. Moggi intanto non riceveva un centesimo dalla proprietà neanche sotto tortura, mentre Paratici ha avuto in mano milioni e milioni di euro. Ma non li ha sempre saputi sfruttare. Poi, se oggi ci sono gli sceicchi con cui vedersela, all’epoca c’erano le spagnole, le solite inglesi, le tedesche, e gli sceicchi li avevamo in Italia. Nel senso che Cragnotti, Sensi, Cecchi Gori, Tanzi, Moratti e Berlusconi erano disposti anche ad accumulare ingenti debiti pur di investire e comprare campioni. La forza di Moggi era dunque la sua capacità di riconoscere i talenti, di cltivare le amicizie giuste coi procuratori e di sapersi muovere rapidamente sugli obiettivi, prima che questi lo diventassero anche di altre squadre.
È la frase più ripetuta sui forum, sui social e al bar da qualsiasi tifoso tra quelli citati sopra a chi, come l’autore di questo articolo, “osa” cercare di contraddire le operazioni della società, farlo ragionare e intavolare una semplice discussione di mercato che vada oltre le sue convinzioni (che poi combaciano quasi sempre con quelle della proprietà). E che siamo certi in tanti scriveranno a commento del nostro pezzo.