«Se dovessi trovare un’immagine, o definire questa così delicata vicenda con poche parole, mi servirei di quel nichilismo presente nell’enciclica di Benedetto XVI. Quella spinta al dissolvimento da parte delle persone coinvolte. Un dramatis personae molto strana, freudiana oserei dire, quasi ai limiti della tragedia greca, che spinge all’annientare gli altri distruggendo se stessi». Guido Rossi è uno dei maggiori esperti di diritto in Italia e non solo, padre della legislazione Antitrust in Italia, profondo conoscitore delle vicende economiche e politiche del nostro Paese, peraltro in molte occasioni vissute da vicino. Autore di numerosi libri in campo giuridico, economico e filosofico (l’ultimo arrivato in libreria è una sua analisi che accompagna un classico, il saggio di Keynes «I dubbi sul futuro dei nipoti»), ha assistito con stupore prima, con amarezza poi, alle vicende che riguardano Giovanni Agnelli. Dalle questioni ereditarie, con la battaglia intentata dalla figlia Margherita nei confronti della famiglia, a quelle fiscali che hanno portato a un’indagine dell’Agenzia delle Entrate per individuare eventuali fondi accumulati all’estero, nonché agli attacchi dei media di centrodestra.\r\n\r\n«Sono davvero meravigliato dell’attacco forsennato al quale è stato sottoposto Gianni Agnelli — spiega Guido Rossi —. Non entro nel merito della vicenda. Come è noto esistono verità giuridiche e verità reali e qualche volta, se non spesso, non coincidono. Ma si tratta di eventi che hanno dato adito, secondo me, a un maramaldeggiare nei confronti di Gianni Agnelli che ha dell’incomprensibile». Forse si tratta di quell’antico vizio italiano che spinge il Paese a demolire i cosiddetti personaggi importanti, i poteri forti? A demolire, quindi, nel bene e nel male, la propria storia? «Credo che Gianni Agnelli si meritasse tutto dall’Italia fuorché questo stonatissimo attacco. Che non può essere motivato che da qualcos’altro. Forse la distruzione di un valore affinché tutti i valori poi perdano importanza con lo scopo di annegare il tutto in una indistinta mancanza di principi».\r\n\r\nRossi parla di «amnesia sociale». «Sì, c’è una sorta di amnesia che sembra spingere questo nostro Paese a distruggere il suo passato e le persone che lo hanno vissuto e composto. Una tendenza a dimenticare. Ebbene, l’amnesia è una delle malattie più pericolose per la democrazia perché fa perdere qualsiasi punto di riferimento. Annientando un valore, una o più persone, si fa in modo che alla fine sia impossibile giudicare chiunque. Forse questo è il vero scopo».\r\n\r\nChe si tratti di un momento non facile per il Paese è innegabile. Dalla vicenda ultima di Boffo a quelle che vedono coinvolto il presidente del Consiglio sembra reale la possibilità che l’«amnesia sociale» della quale parla Rossi porti alla fine a una sorta di non giudizio per tutti. «Vede, con tutti i difetti che ognuno di noi ha, si dimentica lo straordinario rappresentante dell’Italia nel mondo che è stato l’Avvocato. Ancora oggi il nostro Paese viene identificato anche con la sua figura di intellettuale. E non solo di rappresentante della maggiore famiglia imprenditoriale in Italia. Le scivolate alle quali ho assistito in questi giorni mi meravigliano». A sorprendere il giurista, ancora una volta è la volontà distruttrice che intravede nel delineare i comportamenti che furono dell’Avvocato, con l’intenzione non di entrare nel merito degli argomenti, ma di restare sulla cornice del quadro più che sul quadro stesso, sulla sostanza, rendendo così più semplice il possibile annientamento. «Ho lavorato con lui abbastanza per poter affermare che si trattasse di una persona squisita — racconta —. Un eccezionale collante tra Stati Uniti ed Europa. Ma pensi soltanto a quando portava Henry Kissinger a vedere la Juve. Si pensava fosse una sorta di snobismo. Ma anche qui, perché si dimenticava e si dimentica chi a tutt’oggi è Kissinger. Vale a dire quel ministro che ha permesso di chiudere una vicenda dolorosa e importante per gli Stati Uniti e il mondo come è stato il Vietnam. Quel Kissinger che conobbi all’Harvard Law School e che qualsiasi amministrazione alla Casa Bianca, democratica o repubblicana che sia, ritiene una forza importante per il Paese».\r\n\r\nIl ricordare e analizzare il passato per Rossi, che è stato anche senatore della Sinistra indipendente negli anni Settanta, è invece una componente fondante della democrazia, tutt’altro che il nichilismo che nota oggi. «Ho un ricordo molto preciso dell’Avvocato. Ero in Senato. Stavo portando avanti un progetto di legge che introduceva nel nostro Paese l’Antitrust. Nessuno lo voleva, persino la mia parte politica di allora diceva bastasse l’articolo 85 e 86 del Trattato di Roma. E questo mentre all’epoca eravamo solo noi e la Turchia a non avere quel tipo di norme. Ebbene Agnelli nel corso dell’audizione in Parlamento, fu al mio fianco. Era un uomo di aperture eccezionali. Si preoccupò solo di chiedere di non frenare eccessivamente l’attività economica con leggi che potessero imbrigliare troppo le imprese. E che dire del «Corriere della Sera»? Chi è stato a impedire, e lo so perché partecipai a quelle vicende, il dissolvimento del giornale se non l’intervento di Enrico Cuccia e di Agnelli?».\r\n\r\nAncora una volta le amnesie di un Paese — dice Rossi — che dimentica che cosa è stato industrialmente l’avvocato. «In Italia, mi permetta di dirlo, abbiamo avuto un capitalismo straccione o di Stato. L’industria familiare in passato è stata essenzialmente di nicchia. Solo la Fiat internazionalmente ancora oggi è presente. E sono convinto che persino l’accordo con Chrysler sia stato facilitato dal fatto che la Fiat è l’azienda che fu dell’Avvocato. E ora si rischia di danneggiare anche questo. Incomprensibile. Se non con quella pulsione freudiana di distruzione. Della realizzazione di se stessi ma attraverso l’autoannientamento».\r\n(Corriere.it)