Di professione non fa il sociologo, ma frequentando la curva della Juve «da 28 anni», ora sotto il vessillo dei «Drughi», conosce la gente che l’abita: «Guarda che se prendi a caso cento ragazzi che vengono allo stadio – racconta “ma il nome non lo scrivere, la Digos era anche a Bordeaux” – novanta non sanno proprio nulla di razzismo. Zero. Magari qualcuno inizia a cantare, e tu ci vai dietro, senza neppure preoccuparti di cosa dice il coro». Fedeli alla tribù, scrisse John King, narratore di gesta hooligans.\r\nSolo che dall’aprile scorso (porte poi sprangate), e nelle ultime settimane di più, il coretto bianconero dice sempre Balotelli, con appiccicate dietro un sacco di porcherie. «Se saltelli muore Balotelli», è la versione meno hard, fino all’odioso «non ci sono negri italiani», anche in versione export dalla notte in Aquitania. Spregevole razzismo per le leggi dello stato, le regole del pallone e gli uomini di buona volontà. Mica sempre, o non per tutti, nei codici delle curve.\r\n«Ehi – attacca un ultrà, G. R., 29 anni, seduto a un bar della periferia nord di Torino – ma per insultare uno come Balotelli, alto, gran fisico, bravo a giocare a calcio, che gli diresti? Parlare del colore della pelle non è meno carino di gridargli che deve morire o che è un figlio di. È un avversario, punto e basta». Da bersagliare con tutto l’arsenale, allora, tanto negli altri accampamenti fanno lo stesso. O di peggio, dice il popolo juventino: «Non so quante volte hanno intonato cori sulla morte di Scirea o sui nostri morti dell’Heysel – spiega Christian, dei Viking – per non parlare della rima inventata sui due ragazzi delle giovanili morti a Vinovo. Qualcuno s’è mai scandalizzato? Come il gemellaggio tra Fiorentina e Liverpool salutato come gesto di civiltà. Già, con le magliette con scritto meno 39, i nostri morti del 1986».\r\nL’unica regola, è che non ce ne sono. «Prendi il coro dei saltelli – racconta ancora Christian – nacque in rima per Lucarelli, che è un rosso e per questo veniva insultato da quasi tutte le curve d’Italia». Nere. «Non s’è mai detto nulla: ora fa scandalo». Dentro ai moderni colossei, affogati nell’adrenalina della battaglia, è così che il razzismo si mischia agli insulti, che il reato s’annacqua in comune offesa. «Sono razzisti i cori contro Balotelli? Come se a Giovinco gridassero nano, a uno di cento chili ciccione, o a uno senza capelli pelato. Non è discriminazione?» Anche se usciti dalla corrida, qualche dubbio rarefatto viene: «Lo sappiamo tutti che la curva, la tensione, la folla ti spinge all’estremo e che il giorno dopo magari ti dici, “forse ho esagerato”. Ma è sempre stato così». Chissà se lo pensano davvero quando lo dicono, però, o se è il pensiero di tutti: perché poi quando li accusi di razzismo, s’arrabbiano di brutto. E le parole di tutti i gruppi ultrà, diventano pensiero unico: «Dire che la curva della Juve è razzista è una cavolata enorme, perché abbiamo ragazzi di colore anche noi, come Sissoko». Non è un improperio qualsiasi, allora.\r\nMagari da usare come arma, contro il club. «Macché – tagliano corto tutti – nessuno ha mai chiesto soldi o favori alla società». Qualche aiuto, può essere: perché la passione costa fisico e quattrini. Quattordici ore di pullman per andare a Bordeaux, «per 150 euro, pasti esclusi». Poi ci sono i ragazzi d’indole bianconera, ma senza uniforme: «Non è che i gruppi ultrà organizzati controllino tutta la curva – racconta uno dei capi dei “Bravi Ragazzi” – anzi, la maggioranza è il resto. E se uno inizia, che gli dici?» C’è chi si scandalizza per tutto «questo casino». Bei tempi quando s’offendeva e tutto filava liscio: «Quanto subì gente come Bucci, o Crippa, senza risparmiare alcun parente. Poi, quando Crippa vinse la Coppa Italia, alzando il trofeo insultò i “gobbi”, cioè noi. Si lesse dal labiale. Era una vita che sopportava». Come facesse parte del gioco. E al diavolo le regole. A meno che non parli l’idolo: «Buffon l’abbiamo ascoltato, del club o di altra gente ce ne freghiamo». Se ne fregheranno nella notte dell’Inter: «Ci sarà un clima ingestibile». Anche se una fetta ultrà ha invitato Mariella Scirea a vedersela nella curva dedicata al marito Gaetano. «E quel nome – ha detto spesso – non andrebbe infangato».\r\n\r\nCredits: La Stampa\r\nFracassi Enrico – Juvemania.it