Nell’ordine: Cagliari, Inter e Bayern Monaco. Il destino della Juventus e di chi la pilota è racchiuso in queste tre partite da disputare nei prossimi dodici giorni, senza soluzione di continuità, senza sconti da esibire alla cassa o maniglie a cui aggrapparsi caso mai capitasse qualcosa di poco carino. Gli alibi stanno a zero per tutti, a cominciare da Ciro Ferrara, un uomo prostrato sul charter del ritorno da Bordeaux, un allenatore gravido di problemi nell’imminenza di un periodo delicatissimo. La sconfitta in Champions League è stata squassante non tanto per la portata (circoscritta) delle conseguenze in classifica quanto piuttosto per la meccanica che l’ha generata. Contro un avversario infinitamente più debole ma infinitamente più organizzato, la Juventus ha mostrato all’Europa dei nobili sfasature strutturali e soggettive che alimentano preoccupazioni non proprio trascurabili: da sbriciolare il più in fretta possibile.\r\nIeri mattina Ferrara è rimasto a lungo nello spogliatoio ad analizzare la situazione con i suoi giocatori: pare abbia usato toni abrasivi e non abbia concesso attenuanti a nessuno, nemmeno ai suoi ex compagni. E’ giusto che la discussione non si sia trasformata in contraddittorio ma abbia avuto i connotati del monologo piuttosto brusco, però alle parole devono seguire i fatti. E i fatti sono scelte logiche, ancorché impopolari. Servono coraggio, equilibrio, freddezza. La Juventus in Champions League ha segnato tre gol in cinque gare, due dei quali ai malcapitati israeliani del Maccabi Haifa; ha sempre dato prova di essere inadeguata per certi contesti nonostante gli acquisti di Diego e Melo, i rinforzi brasiliani che non sanno fare la differenza; non è mai stata autoritaria ma spesso è parsa sottomessa. Domanda scontatissima: perché? GIOVENTU’ Il ritornello è che « qualcosa non funziona » ed è, onestamente, un ritornello da Zecchino d’Oro non da Music Awards. Mica ci vuole una scienza per capirlo, no?, che qualcosa non funziona. Allo stato dell’arte, i giocatori denunciano inadeguatezze che poi, fatalmente, l’allenatore deve risolvere. Insomma, sono cavoli suoi. Ferrara è sotto esame dal momento che sono i risultati a infilarlo in una sorta di cono d’ombra, in realtà è il non-gioco che esprime la sua squadra a collocarlo in una luce diversa rispetto a maggio, quando ereditò la panchina da Ranieri, e a luglio, quando ha cominciato la preparazione accompagnato da un entusiasmo debordante. La Juventus del sor Claudio l’anno scorso di questi tempi era già qualificata e aveva spezzato le reni al Real Madrid, oggi ci si aggrappa alla possibilità di pareggiare con quel che resta del Bayern per passare il turno. Non bello. Il tecnico bianconero deve scontare alcuni peccati di gioventù, perché nessuno nasce “imparato”: era prevedibile, è umano. A Bordeaux non hanno convinto la decisione di mandare in campo dall’inizio Alessandro Del Piero, in palese difficoltà dopo tre mesi di stop e 35 minuti contro l’Udinese, e di insistere su Melo, spompatissimo. Decisione sbagliate, pagate care.\r\nHa ragione, Ferrara, quando evidenzia che i gol presi su palla inattiva non dipendono dal sistema tattico ma da colpevoli disattenzioni, però è altrettanto vero che la Juventus non conosce né l’armonia né la melodia. Per rendere la vita più facile a Melo – che chissà perché nel Brasile è sempre un drago e in bianconero non lo è quasi mai – ha cambiato spartito: dal rombo al 4- 2- 3- 1, proprio come succede nella Seleçao, però con vantaggi pratici modestissimi. Mauro Camoranesi, pur con un rendimento altalenante, è stato più decisivo di Diego, che dopo l’infortunio non si è più ripreso. E, forse, adattato. A Brema era un giocatore straordinario, tre mesi di Torino lo hanno normalizzato e incupito: non è più determinante sotto l’aspetto realizzativo e propositivo. Vale uno qualsiasi, adesso, però la società lo ha pagato per il campione che era. E che resta, sia chiaro. Il nodo è restituirlo alla sua dimensione speciale, riconsegnarlo a una squadra costruita su di lui e su Melo. Tocca a Ferrara pensarci, tocca ai dirigenti avvinghiarsi al gruppo fino a soffocarlo, perché in dodici giorni e tre partite si può scrivere la storia di una stagione. O il suo prematuro epitaffio.\r\n(di Vittorio Oreggia per Tuttosport)