Paulo Dybala, 261 presenze in maglia bianconera e 104 gol, compreso quello che nell’ultimo turno ha permesso alla Juventus di pareggiare allo scadere contro l’Inter e di raggiungere in fatto di marcature un certo Michel Platini. Ma le analogie con Le Roi si fermano qui. Paulo Dybala, infatti, è talento cristallino, ma mai sfruttato fino in fondo. Questione di testa, probabilmente, la stessa che non lo ha mai fatto né probabilmente farà mai un leader come il francese. Ma anche di fisico: fino a prima del match di San Siro, l’argentino aveva accumulato 169 giorni di infortunio e salto circa 30 partite post Covid, come riportato pochi giorni fa dai colleghi della Gazzetta dello Sport. Più del tanto criticato (giustamente) Aaron Ramsey, che nello stesso arco di tempo è stato indisponibile per 96 giorni e 12 partite.
Perché oltre a una certa predisposizione agli infortuni, ha mostrato tanta lentezza perfino nel recupero. E una volta rientrato, ha impiegato parecchio tempo per entrare in forma. Lo scorso anno, per esempio, rientrò a ottobre dopo un’infortunio patito contro il Lione ad agosto. Anche in quell’occasione la Joya tornava da un periodo di inattività per problemi fisici: entrò al 70′, ma alzò subito bandiera bianca dopo nemmeno un quarto d’ora di quella importante sfida di Champions. Fino a gennaio 2021, l’argentino giocò una serie di gare negative per poi rompersi di nuovo, rientrare a inizio aprile e giocare nuovamente male per un mese e mezzo, se si esclude il gol del 2-0 al Napoli.
E allora, a fronte di questi numeri e di un rendimento spesso al di sotto delle sue reali possibilità, vale la pena rinnovargli il contratto a certe cifre (quadriennale da dieci milioni all’anno con i bonus)? Fare una bandiera di un giocatore che si avvia verso i trent’anni, dunque in teoria in una fase calante dal punto di vista atletico, che non ha mai dato ne dà segni di ulteriore crescita, né sembra ormai in grado di consacrarsi definitivamente?
Dybala, e chi scrive è da sempre un suo estimatore che pertanto si duole di esprimere giudizi così negativi su di lui, in questi ultimi anni non è mai esploso del tutto, venendo spesso ignorato perfino da una delle Albiceleste meno forti della storia. Forse sarebbe quindi guardare altrove. Come per Morata.
È inutile girarci troppo attorno, Alvaro Morata ha dimostrato in questi anni di essere un buon comprimario e nulla più. Troppo umorale e discontinuo per poter reggere il peso dell’attacco della Juventus. Non è nelle sue corde, come non lo è la continuità. Tant’è che è capace di alternare a una o due gare di grande livello, una decina di prestazioni sottotono con pesanti errori macroscopici sotto rete. D’altronde non è nemmeno una punta vera. O almeno non è il tipo di centravanti che serve a questa Juventus e al suo allenatore, che necessiterebbero in primis di una centravanti capace di realizzare almeno una ventina di gol a campionato, e in secundis magari in grado di fare a sportellate coi difensori, per sfondare letteralmente le retroguardie avversarie e creare più spazi per i compagni. Un tipo di attaccante che tra l’altro manca nell’organico dei bianconeri, che di fatto hanno un reparto offensivo per caratteristiche più adatto al contropiede. Un vero problema considerando che è la Juventus chiamata quasi sempre a fare la partita.
Riscattare il 29enne spagnolo, insomma, pagandolo 35 milioni di euro, e magari dopo aver rinnovato all’argentino, significherebbe caricarsi sulle spalle per anni due attaccanti umorali, inclini all’infortunio e mai del tutto esplosi. Ovviamente invendibili. Un rischio, un suicidio programmatico che la Juventus non può e non deve permettersi.