Diktat Paratici: il cinismo di chi sa “fare azienda”

La Juve non aspetta più nessuno. Forse neppure sé stessa. L’ha capito Paulo Dybala, che dalla notte alla mattina è passato dal sogno Sarri al bigliettino d’addio sul comodino. Il rientro a Torino sa di caffe amaro, ha il sapore stucchevole di una decisione meditata solo da una delle parti. Di fatto, le cose sono cambiate dopo l’operazione Ronaldo di un anno fa. Insomma, il “bimbo d’oro” dismetta i panni da promessa oppure si cambia comodamente casacca. Tempo scaduto. Da quando le redini del mercato sono finite totalmente nelle mani di Paratici, si è palesato in maniera ancora più forte quel cinico aziendalismo (già intrinseco nel DNA Juve), ora reso più forte dal manager bianconero.

Che non ci fosse spazio per sentimentalismi era già chiaro da un pezzo, ma con la vicenda Allegri tutto si è amplificato. Perché ora vincere non basta più e non può essere solo l’unica cosa che conta. Si guarderà anche al “come”, ecco perché Sarri: una rivoluzione metodologica e di idee. Specie in Europa, dove le convinzioni da Serie A sbattono (spesso) con una realtà un filo diversa dalla routine.

Paratici ha assunto pieni poteri dopo l’addio di Marotta ed è cambiato anche il modus operandi in seno alla dirigenza. La rosa è stata irrobustita in termini di centimetri, oltre che sul piano tecnico: De Ligt, Rabiot ed eventualmente Lukaku viaggiano sul metro e 90, o giù di lì. L’acquisto del difensore olandese ricorda per modalità, età anagrafica e colpo in prospettiva, quello di Buffon nel 2001. Giovane, di prima fascia e ambito dai top club europei. Eccolo il vero segnale ai competitor nel 2019.

La Juve ha messo nella lista delle priorità sé stessa, disposta a sacrificare chiunque (tranne uno), pur di provare a potenziare ulteriormente l’organico. Se ancora non fosse chiaro, dopo l’addio tra le lacrime di Allegri, a Torino non si aspetta più nessuno, men che meno Paulo Dybala. Si ringrazia, si va avanti e si fa azienda.