Delneri: “Felipe Melo simbolo della mia Juventus operaia”
Se la Juve s’è fatta operaia, come dice con orgoglio Gigi Del Neri, Felipe Melo ne è diventato uno dei lavoratori più efficienti: «Melo si è trasformato lui – diceva ieri il tecnico bianconero – ha trovato l’ambiente giusto che l’ha supportato, ma anche gli atteggiamenti da campione. Non so come andrà a finire il campionato, però sono sicuro che così questa Juve creerà un gruppo importante». E nel mezzo lotta e comanda Felipe, fino a un mesetto fa costosissimo brutto anatroccolo: ha mantenuto l’impeto agonistico dentro i livelli di guardia, limato le sventatezze con la palla tra i piedi, tornando insomma giocatore, anche prima del bacio di Del Neri, al momento del cambio, a Udine. Richiamo a sedere che il brasiliano ha preso con il sorriso sulle labbra, quando l’anno scorso più volte borbottò. Stasera all’Olimpico contro il Palermo lo aspetta un’altra battaglia, e per lui di più, dovendo tenere d’occhio quel talento di Pastore, fantastico, come da etichetta del tecnico juventino.\r\nS’è come ristrutturato, Melo, e mica era facile, arrivando da una stagione disastrosa con la Juve e da un mondiale chiuso brutalmente, e sul banco degli imputati, tanto per cambiare. Ha passato le vacanze con la famiglia sul mare di Paraty, meravigliosa cittadina coloniale a 260 chilometri da Rio, con una scappata in Florida, a Orlando, per portare i figli a Disneyworld. Dopo la tempesta dell’eliminazione, su twitter e per posta, ha ritrovato l’affetto dei tifosi. Quand’è venuto il momento di tornare alla Juve, almeno s’era depurato la testa e alleggerito l’anima. All’inizio Beppe Marotta e Del Neri gli hanno letto la nuova legislazione: crediamo in te al cento per cento – la sintesi – ma se sgarri sei fuori. Dall’altra parte della trincea, il tecnico l’ha difeso dal primo minuto, parlandogli: per rapporto umano di stima e sincerità, raccontano gli amici, Felipe ha ritrovato quei tratti che gli avevano fatto amare Cesare Prandelli e Unai Emery, il tecnico che lo lanciò nell’Almeria. Soprattutto, ha ricominciato «a scalare le pareti dell’inferno, un centimetro alla volta», come diceva Al Pacino, in versione allenatore, nel leggendario monologo che un amico gli ha consigliato di guardare. Per lottare «Ogni maledetta domenica», appunto: «O noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente». Così si sta formando la Juve operaia: «Non provinciale – spiegava ieri Del Neri – ma operaia: che vuol dire avere qualità e lavorare duro. Se lo faccio, posso raggiungere gli obiettivi. Quando domenica qualcuno ha detto che abbiamo l’atteggiamento di una squadra operaia, mi sono sentito gratificato».\r\nSta risorgendo Felipe, e insieme a lui Claudio Marchisio, che pareva disperso: ha messo il naso fuori con una rete rabbiosa alla Samp, e s’è issato sul piedistallo con l’Udinese, tra gol da sigla tv e partitone. Allora, il tecnico non ha dubbi: «Marchisio e Melo stanno benissimo, per cui giocano loro. Stanno bene anche gli altri, ma giocano loro: a centrocampo ho quattro ottimi giocatori, ma la coppia è affidabile e non ha senso cambiare». Non lo farà anche dalle altre parti: «Il turn over? Non lo so e poi quattro giorni per il recupero sono abbondanti». Giocheranno gli stessi undici: «Non è detto che se cambi ottieni lo stesso risultato: la psicologia è importante, bisogna sfruttarla, più del discorso fisico. Con la testa giusta corri di più». Basta non montarsela: «Sarebbe fuori luogo, non abbiamo fatto niente». Vale per i calciatori di tutte le età, compreso David Melo, anni 5, che papà Felipe ha appena messo alla scuola calcio Juve: andasse bene, stavolta i bianconeri risparmieranno 25 milioni.\r\n\r\nCredits: La Stampa\r\nFracassi Enrico – Juvemania.it