All’inizio eravamo molto presi dal cambiamento, che è stato totale perché Sydney, con 5 milioni di abitanti, è la città più importante dell’Australia, e ovviamente è molto diversa dalla Torino in cui ho vissuto gli ultimi 19 anni. Poi la città l’ho scoperta così, vivendola da straniero, girando per le strade. Mi sono accorto che l’atmosfera è molto rilassata e genuina. Il calore che ho ricevuto è stato lo stesso dell’Italia, anche se cambiava nei modi e nelle fonti. Comunque sono bellissimi i racconti di come hanno vissuto le imprese della Juve del passato qui, dall’altra parte del mondo, di come per via del fuso si alzavano alle 4 per vedere le nostre partite. A volte mi mostrano le foto dei loro viaggi a casa. Sono storie diverse rispetto a quelle che mi raccontavano in Italia, ma non per questo meno importanti: in egual misura delineano ciò che il calcio mi ha dato. Avverto molto amore per il calcio nella gente.
\r\nAttualmente il Sydney non naviga in ottime acque: nonostante la vittoria di ieri sulla capolista, la classifica è deficitaria.\r\n
Mannaggia, sì. Avremmo fatto volentieri a meno. Ma vengono lo stesso allo stadio e c’è molto fair play: non siamo mai usciti tra i fischi. Se ci arrendessimo, se non ci impegnassimo, sarebbe diverso. Se la prenderebbero, eccome. Ma vedono l’agonismo, la competizione, percepiscono che siamo in gioco. Allora ci sta anche la sconfitta, e rimane il supporto. Quanto alla società, lì sono molto esigenti, ma al tempo stesso non ci sono grandi patemi attorno ai cattivi risultati che, figuriamoci, a noi giocatori per primi stanno stretti. Preoccupati dalla classifica? Preoccupati non è il termine giusto. Non ne siamo felici, ovvio, ma restiamo ottimisti anche perché il campionato qui è molto diverso rispetto al nostro. Ci sono soltanto dieci squadre, non ci sono retrocessioni e al termine del primo round in sei vanno ai playoff e si riparte tutti da zero. Dobbiamo darci da fare, su questo non c’è dubbio, ma dal momento che la classifica è corta nulla è compromesso.
\r\nPoi Alex spiega come mai abbia scelto di chiudere la carrieradall’altra parte del Mondo.\r\n
Forse l’ho scelta proprio per quello, perché è dall’altra parte del mondo. È stato per il cambiamento totale, dal punto di vista sportivo, ma non solo. Abbiamo visto cose bellissime, anche con i nostri figli con cui abbiamo girato per scoprire gli animali tipici dell’Australia, per vedere la natura. Poi, e questa è una strana scoperta, più giri, più sei meravigliato, e più ti rendi comunque conto che l’Italia è il Paese più bello del mondo. Quel che c’è in Italia non c’è da nessuna parte. Le spiagge, la cultura, la geografia splendida con le montagne che toccano il mare. Poi penso a città come Firenze, Roma, Venezia: inarrivabili! È un peccato che il nostro Paese attualmente non venga vissuto bene.
\r\nC’è chi vede Del Piero prossimo allenatore, chi dirigente, ma ancora una volta il diretto interessato dribbla l’argomento.\r\n
Mi rifiuto di pensarci. Il mio fisico regge, mi diverto ancora molto a giocare e a migliorare ogni giorno. Ovviamente coltivo altri interessi, ma non stanno diventando progetti per il futuro perché ora, per rendere al meglio, ho bisogno di stare concentrato su ciò che sto facendo. Se cominciassi a pensare che voglio fare l’allenatore finirei per entrare in campo dicendo agli altri cosa devono fare e intanto io non farei niente. Vivo il momento e al dopo ci penso… dopo.\r\n\r\n\r\n