De Paola: nessun ridimensionamento, il progetto Juve è valido

Se vogliono continuare a farle del male, pre­go, si accomodino signori. Se qualcuno vuole seguire il pifferaio che approfitta dell’en­nesima occasione per attaccare subdolamente la Juve, avanti. Se poi altri, addirittura, presi dall’orrido incantesimo sognano l’emiro che sfili la società alla famiglia Agnelli, allora noi diciamo: qui Torino, pianeta terra, anno 2011. Proviamo a rientrare nella realtà e affrontia­mola per quello che è senza seguire strampala­ti teoremi. Inaccettabile parlare in questo mo­mento di ridimensionamento della Juve. Chi lo fa semina terrore ideologico perché cerca solo di entrare nelle paure del popolo juventino. So­vrapporre in maniera dolosa i vari momenti storici per elaborare disegni destabilizzanti, prospettando una nuova dimensione della Ju­ve, allarga una crepa per creare una falla. Perché certi assurdi ragionamenti nessuno li ha espressi dopo Milan-Juve o dopo Juve-La­zio? O andando indietro nel tempo perché nes­suno ha posto il problema già alla prima stagio­ne di A dopo la caduta in B per calciopoli? O anche alla seconda? Lo diciamo noi perché: per il semplice motivo che questo mondo è go­vernato dalla mannaia del risultato che copre tutto nel bene e nel male. Il problema, quello vero, che mordeva il collo della Juve era già presente e visibile tre anni fa e non si chiama­va ridimensionamento bensì disorganizzazione e coloro che adesso montano in cattedra, pun­tando il ditino accusatore ai primi risultati ne­gativi, allora stavano zitti. Tutti tranne questo giornale che invocava in ogni occasione e già in quei tempi una rivoluzione che attraversasse ogni brandello di pelle juventina. Esortavamo la Juve ad avere un approccio meno distacca­to, più programmatico e capillare, ma ci veni­va risposto che esisteva un “progetto” preciso e che le cose procedevano bene. E invece no. Noi non ci accontentavamo nè di un terzo, nè di un secondo posto in classifica perché quello non era il ruolo della Juve. La Juve era nata per competere a livelli assoluti e per vincere. Quelle battaglie le abbiamo portate avanti con insistenza. E di sicuro, oggi, non siamo così pre­suntuosi (conosciamo altri che lo farebbero) da prenderci i meriti del cambiamento avvenuto nella scorsa estate, ma certamente il nostro la­voro ha pungolato qualche coscienza. La so­cietà si è svestita della propria inconsistenza e ha avuto il coraggio di rifondarsi. Nuovo pre­sidente (energico ed entusiasta), nuovo mana­ger (finalmente è arrivato un direttore genera­le ed è uno dei migliori in assoluto, lo sottoscri­viamo anche adesso), nuovo allenatore (perso­na di polso e preparata), nuovi acquisti. Tutto ciò ha però un prezzo salato, salatissimo. Il “progetto” del passato ha lasciato delle voragi­ni spaventose che si sono sommate alla gestio­ne attuale. I soldi, già: i famosi soldi. I moder­ni cultori del dato numerico, i nuovi soloni del­l’era mediatica elaborano l’originale teoria che si fonda proprio sui soldi: la Juve non spende, quindi si ridimensiona. Che panzana! La Juve ha scucito fra i 150 e i 200 milioni negli ultimi tre anni e nella scorsa stagione è fra le squadre che hanno investito di più. Magari avrà sba­gliato qualche acquisto, ma che c’entra il ridi­mensionamento?\r\nNessun grande giocatore, dicono i profeti del linciaggio. Falso anche questo: Aquilani, Kra­sic, Bonucci, Quagliarella e Pepe sono giocato­ri sui quali programmare il futuro. Ci sono an­che gli errori come dicevamo, ma pure quelli si pagano e costano altri soldi. Ricordiamo che nel 1994-95, quando arrivarono alla Juve che non vinceva lo scudetto da nove anni, Moggi e Giraudo chiamati da Umberto Agnelli, trova­rono la seguente situazione. Citiamo solo i no­mi principali: Peruzzi e Rampulla; Carrera, Torricelli, Kohler, Porrini, Marocchi, Tacchi­nardi, Conte, Di Livio, Baggio, Del Piero, Ra­vanelli e Vialli. Insomma, una struttura già bel­la solida. La Juve di oggi paga ancora calcio­poli (su cui farebbe bene a rivalersi), ma biso­gna darle il tempo di rinascere senza spararle nella culla. Soprattutto se si è cambiata strada dopo averne imboccata una sbagliata. Dalla lo­gica dei due colpi buoni (o presunti tali) all’an­no per far felice la piazza si è passati a un cam­biamento totale: prima rifondazione e poi in­serimento graduale di qualità. Ci vuole corag­gio per farlo in corsa ma soprattutto tanto im­pegno. E ora al primo, preventivabile, periodo di flessione che cosa bisognerebbe fare? Incu­tere insicurezze, aggredire tutti, destabilizza­re, distruggere ogni cosa e invocare l’emiro? O sarebbe più giusto avere pazienza, sopporta­re qualche scivolone e proseguire con le neces­sarie correzioni di rotta in attesa del secondo massiccio intervento nella prossima estate?\r\nNoi sosteniamo che occorre avere fiducia e continuare a costruire perché la Juve ha sem­pre avuto l’intenzione di posizionarsi nel suo alveo naturale, checché ne pensi qualcuno. Questo programma accompagnato all’inve­stimento sullo stadio ha delle potenzialità competitive, economiche e gestionali che lan­ceranno la Juve nei prossimi 15-20 anni. Po­che altre società in Italia o in Europa potran­no fare altrettanto.\r\n\r\n(Di Paolo De Paola per ‘Tuttosport’)