Il fallimento della Juve in Champions non può essere liquidato con un’analisi condizionata dal campionato da salvare o da altri traguardi (coppa Italia? Europa League?) da raggiungere. L’avevamo detto a inizio stagione, lo ribadiamo adesso: l’uscita dalla principale competizione europea, oltre a una mazzata economica, rappresenta anche una cocente delusione sportiva. Ed è un momento terminale della stagione, purtroppo. Urge capirne le cause e trovare le possibili soluzioni.\r\nCominciamo dalle prime. Abbiamo seguito con grande attenzione l’avventura del debuttante Ciro Ferrara sulla panchina bianconera, le due partite conclusive dello scorso campionato (determinanti per raggiungere il secondo posto), la nuova stagione, l’entusiasmo a Pinzolo, le prime amichevoli convincenti poi il campanello d’allarme contro il Villarreal (4-1). Da allora un inizio trionfante con quattro vittorie consecutive. I guai iniziano dopo. Con le incertezze in Champions e, a seguire, con quelle in campionato. Molti cambiamenti tattici (4-3-1-2, 42-3-1, 4-4-2 alternati più volte), tanti infortuni (addirittura più della scorsa stagione), ma anche una costante mancanza di brillantezza atletica e una allarmante pochezza di gioco. E vogliamo parlare dei brasiliani? Dovevano garantire il salto di qualità, sono i protagonisti di un salto nel vuoto. I motivi? Vanno cercati nello spogliatoio. Forse Ferrara non ha la capacità di farsi comprendere, oppure alcuni giocatori non mostrano la volontà di capire. E’un grosso problema. In certi casi – e qui siamo alle soluzioni – risulta determinante una società che intervenga o con i giocatori o con l’allenatore. Questo al netto dei dubbi su preparazione e infortuni. Lo ripetiamo, pur riconoscendo a Blanc una certificata qualità manageriale, nelle Juve si sente la mancanza di un indispensabile referente sportivo. Lippi? Non si può aspettare tanto. In questo momento tutto è in discussione.\r\nDal Blog del direttore di Tuttosport