Damascelli: “Bettega dovrà fare il Moggi, ma è un’arma a doppio taglio”

Che cosa potrà fare Roberto Bettega per la Juventus? Lo chiedono i tifosi bianconeri e se lo chiedeva, sorridendo come sa sorridere un francese, anche Jean Claude Blanc per il quale, fino a un mese fa, era da escludersi qualunque cambiamento nello staff dirigenziale della società. Lo chiedono tutti quelli che hanno seguito le vicende calcistiche degli ultimi anni, legate allo scandalo che portò la Juventus alla retrocessione in serie B, alla penalizzazione in classifica, alle dimissioni, immediatamente accolte, di Antonio Giraudo e Luciano Moggi e alla sopravvivenza ambigua dello stesso Roberto Bettega per un’altra stagione agonistica. L’inversione di marcia dell’azionista di maggioranza, al secolo l’ingegner John Elkann, e del tuttofare Jean Claude Blanc, altro non è che un’astuta manovra per tenere a freno la contestazione dei tifosi, dando in pasto alla piazza un personaggio che ha fatto la cronaca e la storia della squadra bianconera. Ma non capendo che, così operando, aumenteranno i rischi per lo stesso vertice societario che non avrà altri alibi, se la Juventus tornerà a essere una squadra vera allora il merito sarà di Bettega e il demerito di chi non ci aveva pensato prima; se la squadra confermerà le ultime agghiaccianti esibizioni, allora non c’è Bettega che tenga, il pesce puzza dalla testa e, nel caso specifico, arriva ai piedi. \r\nOra, le mansioni affidate a Bettega sono simili a quelle che erano svolte da Moggi e qui il paradosso diventa clamoroso e grottesco. Delle due l’una: o Bettega faceva parte, totalmente, della “disonesta” dirigenza juventina, ne condivideva l’azione, ne conosceva lo spirito, oppure era un elemento marginale, folkloristico, innocuo, di pura rappresentanza. Nel primo caso non avrebbe alcuna giustificazione il suo recupero odierno, John Elkann ha parlato di nuova «dimensione etica» del club e lo stesso Bettega, inciampando nella memoria e nell’impegno assunto al tempo, ha detto di essere «d’accordo con le parole dell’Ingegnere». Nel secondo caso non si capisce perché a un personaggio comunque di esperienza internazionale, come Bettega, non fosse stato già assegnato, all’inizio del mandato della triade, un ruolo simile a quello attuale, consegnandogli la gestione sportiva, come filtro tra il lavoro di Lippi, Ancelotti e Capello e la coppia formata da Moggi e Giraudo. Non sapendo come rispondere al quesito e non potendo riallacciare rapporti con i due “squalificati”, che cosa ti ha combinato la coppia Elkann-Blanc? Si è inventata l’incarico di vicedirettore generale, per accontentare il neoassunto, mettendo sotto vuoto spinto e spento Alessio Secco che fino a ieri aveva come unico referente Blanc (e Elkann ovviamente) ma che, adesso, si ritrova a dover riferire al vecchio capo.\r\nA Torino lo chiamano progetto, meglio si direbbe un papocchio, confermato ieri dalla gestione del caso Melo-Diego. I due (e, con loro, l’uruguagio Caceres) hanno ricevuto un permesso ferie supplementare di un giorno, non seguiranno la squadra nell’amichevole di Gedda, la loro assenza non si farà sentire, la Juventus ormai si è abituata. Un piccolo appunto alle parole di Bettega che, cercando di giustificare il momento critico dei due succitati in permesso, ha detto agli smemorati d’Italia e di Francia: «Anche Platini ebbe problemi di ambientamento». Il neovicedirettore generale si è dimenticato che Michel Platini (pubalgia a parte) costò «un pezzo di pane» come disse il nonno di John Elkann, per la precisione 265 milioni di lire e non 100 miliardi (50 milioni di euro) quanto Felipe Melo e Diego sono stati pagati dagli attuali, etici e lungimiranti, manager. Ma anche questo fa parte del progetto. O no?\r\n(Di Tony Damascelli per Il Giornale)

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Pubblicato da
Alberto Zamboni