Le bandiere si ammainano. Succede, succede nella vita, nello sport, nel calcio. È successo, ancora. Antonio Conte all’Inter è il giusto percorso di un allenatore che – gli va riconosciuto fino in fondo – fedele ai propri principi ha sempre detto di essere un professionista, prima che un tifoso di questa o quell’altra squadra. Tutto giusto, tutto comprensibile, tutto persino condivisibile, a guardarla dal lato umano. Era fermo, cercava un progetto interessante, andrà a guadagnare 9 milioni di Euro all’anno in quella che – al momento – sembra essere la soluzione migliore. È capace di prendere una squadra e portarla in alto, lo ha fatto con la Juve, lo ha fatto con il Chelsea.
E allora auguri, perché ha scelto bene. Almeno secondo me. In linea con i propri principi, per altro. Allora perché le corse sotto la Curva? Perché l’esultanza smodata, urlata, il 5 maggio? Perché ergersi a bandiera e simbolo di una squadra se poi alla fine non si è altro che… professionisti? Siamo tutti professionisti, nella vita di tutti i giorni. Al diavolo il cuore, il cinismo salverà il mondo (più della bellezza, almeno secondo me). Però perché fare tutto questo? Perché giocare, così, con i sentimenti di una tifoseria intera? Sarebbe bastato restare più cauti. Ma Conte, tutto questo, lo aveva già fatto una volta.
Leccese doc, cresciuto nella juventina, con il padre allenatore, dai giallorossi partì nella propria carriera. Con la Juve esultò in modo sfrenato per una rete proprio contro il “suo” Lecce. Fu un caso in città. Così come quando, qualche anno dopo, da allenatore, andò ad allenare il Bari. La squadra rivale per eccellenza. Anche in quel caso foto con la sciarpa biancorossa sotto la Curva e quant’altro. E qualcuno conserva ancora gelosamente le foto di un giovane Conte con la sciarpa giallorossa fuori dalla curva del Lecce. Alla fine, magari, ha ragione lui. Lui che ha scelto per sé, abbandonando la nave a luglio cinque anni fa. A scanso di equivoci: probabilmente avrei fatto lo stesso. Guardatevi dentro: probabilmente anche la maggior parte di voi. Ma allora perché ergersi a bandiera? Le bandiere, quelle vere, sono altre. E le ho ammirate sempre per quel coraggio che io, come molti di voi, non ho. Come Nedved, Del Piero, Boniperti. Non è un tradimento, ma è l’ammainarsi, per sempre, di una bandiera. E in fondo lo avevamo capito già cinque anni fa, tra vedove e qualche ricostruzione fantasiosa. Peccato.