Federico Bernardeschi ha rilasciato una lunga intervista al direttore di Juventus TV, Claudio Zuliani. Il numero 33 della Juve è tornato al gol in Champions League contro il Bayer Leverkusen, ma continua ad essere uno dei bianconeri più criticati dalla tifoseria. Il diretto interessato va avanti per la sua strada e non si cura nemmeno delle pagelle di giornali e blog. “Sinceramente: no. Io credo fortemente in una cosa: un giocatore sa benissimo quando ha fatto bene e quando ha fatto male. Giochiamo da così tanti anni che ogni giocatore è normale sappia com’è andata la partita. Fa piacere quando vedi che parlano di te e ti fanno i complimenti – ammette – , ma fanno anche piacere le critiche, perché da una critica c’è sempre qualcosa di costruttivo. Questo ovviamente quando sono critiche costruttive e non per cattiveria”.
Già, la cattiveria, quelle che spopola sui social network: gratuita e spesso immotivata, o meglio motivata solo dall’invidia dei cosiddetti leoni da tastiera. In passato Bernardeschi ha dovuto stigmatizzare pubblicamente certi comportamenti di cui egli stesso è stato vittima. “Ringrazio sempre le persone che mi stanno vicine e sono tante e di questo sono felice. Secondo me – continua – non si devono amare i complimenti e odiare le critiche, sarebbe troppo facile”. Quanto all’aspetto prettamente sportivo del suo lavoro, Bernardeschi ammette che vi siano differenze tra le settimane in cui si gioca una sola partita e quelle in cui si gioca due volte. “Ovviamente sì, perché non hai modo di lavorare. Giocando ogni tre giorni – evidenzia – hai bisogno più del recupero che del lavoro. Quando giochi una partita spendi energie importanti. Tu giochi, il giorno dopo scarico, poi chi non ha giocato si allena perché deve integrare. Il giorno dopo ancora, 48 ore dopo la partita, è il giorno peggiore. Acido lattico, tossine nei muscoli, e devi espellere queste cose. Poi il giorno dopo ancora giochi! Lì le prepari tatticamente, ma non puoi lavorare a livello fisico. È più un lavoro mentale e di concentrazione”.
Ovviamente, le emozioni che si provano in campo fanno spesso superare la fatica, perché sebbene quello del calciatore sia un lavoro di privilegiati, l’aspetto umano rimane preponderante. “Sì. La cosa più bella per me è l’entrata in campo – aggiunge Federico – , perché ti fa rendere conto della passione della gente in quel momento. E ovviamente anche noi, perché abbiamo adrenalina, voglia, carica. L’entrata è un insieme di energie belle che si concentrano per un solo risultato: la vittoria. Quindi è un momento fantastico”.
Nel repertorio di Bernardeschi ci sono i gol come quello messo a segno contro il Bayer Leverkusen, ma anche assist dribbling, sacrifici e giocate importanti che fanno la differenza per la squadra. La prestazione di Valencia lo scorso anno è emblematica: Bernardeschi tra i gol e le prestazioni non ha dubbi su cosa scegliere. “Per me, personalmente, meglio quella di Valencia. Perché il gol è importante per te e per i compagni, ma è quando c’è il sacrificio comune e la voglia di vincere di squadra che è molto bello. La Champions è davvero una competizione a parte, non è un modo di dire. Ci sono mille fattori dentro, i dettagli, le sfumature. A parte che incontri tutte le squadre più forti d’Europa, ma poi in un secondo cambia tutto. Perché hai giocatori così bravi davanti, che in un secondo può cambiare tutto. Lo sforzo spesso è molto mentale, infatti quello che io dico è che basta vedere le partite passate. Il Liverpool col Barcellona, per esempio. Questo succede solo in Champions. Perché hai due squadre di pari livello e in un secondo può cambiare tutto. Questo è il bello della Champions e per questo – conclude – è così difficile vincerla. Fino alla fine forza Juventus, come sempre”.