Dalla pancia avvelenata di una ordalia che non finisce mai, la più povera, sgangherata e contestata Juventus del terzo millennio si è consegnata dignitosamente all’Inter di Mourinho, nel rispetto di un pronostico che soltanto la testa al Barcellona avrebbe potuto sabotare. Siamo a fine stagione, e i nervi friggono. Sissoko, già ammonito, si fa cacciare dopo 37’. Una ingenuità pazzesca, ci fosse o meno il primo giallo. L’episodio spacca la sfida, e la offre alla superiorità numerica dell’Inter, che faticherà comunque per venirne a capo (splendido, Maicon; chirurgico, Eto’o).\r\nCarica com’era, non poteva essere una bella partita. Non lo è stata. Per un tempo, i duellanti hanno accettato Damato come un intruso ambiguo, regolando di persona antiche pendenze. Quando se le danno due pesi massimi che se la giurano almeno da una Calciopoli, c’è poco da stare allegri. Zaccheroni, lui, aveva recuperato Diego e riesumato il rombo. Dieci minuti di bollicine, e poi una feroce resistenza. Non che l’Inter attuale sprizzi gioco da ogni azione: anzi. Vola in Champions (cinque successi su cinque), arranca in campionato (prima di ieri sera, quindici punti in undici gare). Rimane dentro a tutte le competizioni, ha reso pan per sorpasso alla Roma, attesa, domani, da un derby che il verdetto di San Siro zavorra di selvagge pressioni. Nei secoli fedele al tridente, Mourinho ha lavorato ai fianchi gli avversari.\r\nPoche idee (Sneijder), molta confusione. La vittoria pesa tonnellate ma non deve illudere. Paradossalmente, la tredicesima sconfitta della Juve è stata una delle meno raccapriccianti. La staffetta Del Piero-Poulsen ha contribuito a ritardare la resa. Vai a sapere se la pazienza dell’Inter fosse calcolo, stanchezza o merito dei rivali. L’ingresso di Balotelli (fuori Pandev) non è stato banale: e non solo per la traversa. Avrebbe potuto vincere di goleada, l’Inter. La Juve, in dieci, ha fatto più di tante altre volte in undici.\r\n\r\n(di Roberto Beccantini per La Stampa)