Amauri si confessa a La Stampa: “non ho mai rifiutato il trasferimento al Genoa”

L’attaccante della Juventus Amauri ha rilasciato un intervista a La Stampa, nella quale puntualizza la sua situazione attuale e fa chiarezza (per modo di dire) sui screzi avuti con la dirigenza bianconera in occasione della scorsa sessione di calciomercato.

Amauri, perché ha detto di no anche al Genoa?

«Non è vero».

Può spiegare?

«Mi hanno fatto una proposta interessante e quella è una piazza che mi piace. Parlerò con il mio procuratore».

Pare le abbia soffiato il posto Gilardino: che farà?

«Non so nulla. Ma so che in queste settimane sono arrivate offerte, dall’Italia e dall’estero. Una cosa è certa: a gennaio andrò a giocare».

Poteva farlo ad agosto, ma ha rifiutato: perché?

«Alla fine, chi mi voleva, non mi dava quello di cui si era trattato e parlato».

Questione di soldi?

«No, più che altro di lunghezza del contratto. A 31 anni si fa l’ultimo della vita e ho sempre chiesto un triennale: anche perché tre stagioni ad alto livello penso di poterle fare. A Parma l’ho dimostrato».

La Juve la lascerà andare?

«Così hanno detto».

Altrimenti?

«In qualche modo bisognerà risolvere questa situazione. Del resto, finora sono sempre stato zitto, non ho mai fatto casino, e mi sono allenato. Con i ragazzi della Primavera, stupendi, loro e l’allenatore Baroni, ma non è stato facile. Anzi, è stato un periodo davvero pesante».

È disposto a espatriare?

«Sì, e qualche chiamata so che è arrivata. Anche se preferirei rimanere in Italia: se vai via, esci un po’ dal giro. La Nazionale resta il sogno».

Cosa fa la domenica?

«Sto con i miei figli, Cindy, che ha dieci anni, e Hugo Leonardo, che farà i cinque a gennaio. Pizzeria e cinema, l’ultima volta con i bambini a vedere “Il gatto con gli stivali”. E poi sul divano davanti alla televisione, per vedere le partite. Strane domeniche, quando da più di dieci anni sei abituato a ritiri e stadi».

Guarda anche la Juve?

«Certo. Non tutte, ma molte ne ho viste».

Gufa?

(sorriso). «Mai fatto. Ci sono ragazzi che conosco da anni e con loro il rapporto è rimasto ottimo. Quando vincono sono contento: stanno facendo un gran campionato».

Ha un rimpianto?

«Due. La controprova non c’è, ma sono sicuro che in questa squadra, con un allenatore che ha cambiato quasi tutto, compresa l’aria pesante che c’era prima, starei facendo bene anch’io. Darei una mano».

Il secondo?

«Non aver giocato con Andrea Pirlo, l’acquisto chiave, il giocatore che ha messo a posto la squadra. Avrei potuto fare un sacco di gol. Spero di ritrovarlo in azzurro».

È la Juve più forte?

«Da quando sono qui, no. La più vogliosa e arrabbiata, sì. Ma la più forte era quella del mio primo anno a Torino, con giocatori pazzeschi: Nedved, Trezeguet, Del Piero, che andava come un treno».

Cosa le manca di più?

«Giocare, chiaro. E poi le parole dei miei figli, che quando tornavo a casa dalle partite mi dicevano: “Bravo papà, vedi che sei forte?”»

Ora cosa le dicono?

«Mi chiedono perché non vado a giocare allo stadio, anche se gli ho spiegato come purtroppo stanno le cose».

Perché una squadra dovrebbe prenderla?

«Se sarà un affare lo diranno alla fine, ma di certo avrebbero uno arrabbiato e con la voglia di recuperare cinque mesi senza sfide».

Mai pensato di mollare tutto?

«Come no. Diverse volte mi sono detto: “Ma che m’importa. Chiudo baracca e me ne vado via. Ma poi non l’ho mai fatto perché sono un tipo testardo. E poi, lo so, un super privilegiato, rispetto a tutte le persone senza il loro lavoro. Ma è pesante lo stesso».

Chi l’ha salvata?

«La famiglia. Mia moglie, e i figli. Dopo un po’ mi hanno detto: “Papà, però è bello averti a casa la domenica”».

Fracassi Enrico