Tutto cambia affinché Allegri resti. Sono trascorsi ormai quasi tre stagioni dalla restaurazione allegriana, che aveva visto il prode condottiero labronico ritornare tra gli osanna dopo essere stato vittima, solamente poche primavere prima, della furia giuochista che avrebbe scatenato di lì a poco la rivoluzione sarriana, forse la più sciagurata delle molteplici calamità nel tempo abbattutesi sulla Vecchia Signora.
Tra proclami retorici e appunti sbiaditi, il fuoco e la passione che ardevano gli ideali progressisti di Maurizio il comandante si sono via via affievoliti, fino a essere spenti dall’arrivo in panchina del profeta Pirlo, immolatosi sull’altare degli Agnelli sacrificando la sua carriera per spalancare le porte al ritorno del redivivo Max. Ci rendiamo conto di quello che abbiamo quando lo perdiamo.
Potrebbero essere state queste le parole servite ad Andrea Agnelli per convincere l’artefice dei cinque scudetti consecutivi a tornare lì dov’era stato esiliato e condannato a un’ingiusta quanto dannosa damnatio memoriae, che aveva reso la squadra orfana dell’uomo più importante della sua storia recente. E così, tornato nel suo locus amoenus, il buon vecchio Max ha potuto togliersi più di un sassolino dalle scarpe, sancendo in questo modo la vittoria della sua filosofia a scapito di quella di chi aveva messo in dubbio il suo dominio.
Riaccolto a braccia aperte dall’ambiente, l’allenatore livornese ha pian piano rimesso al loro posto tutte le caselle, nella speranza di ricostruire i meccanismi che un biennio fa avevano permesso alla Juventus di cannibalizzare i suoi avversari senza fare prigionieri. Un lavoro meticoloso e per certi versi impossibile, che però ha entusiasmato e ringalluzzito la piazza, vorace di risultati e desiderosa di tornare lì dove Max l’aveva lasciata.
Come spesso accade però, le cose tendono a prendere una direzione diversa da come le immaginiamo e la prima Juve del secondo regno di Allegri si è ritrovata a chiudere la sua prima stagione senza trofei dai tempi di Luigi Delneri. Annate amare e nomi infausti riaffiorano alla mente dei supporter bianconeri, le statistiche tornano ad aggiornare record negativi come non si faceva da un decennio, il sereno è spazzato via dalle grigie nubi dell’incertezza.
La luna di miele tra Allegri e la Juventus è già finita. Leggendo giornali, blog o semplici chat tra tifosi sembra di essere tornati al 2019: allenatori improvvisati e presidenti della domenica hanno emesso il loro verdetto. Allegri va esonerato. Tutt’un tratto il mister toscano sembra essere diventato nuovamente il capro espiatorio, l’anello debole tolto il quale arriveranno magicamente in bacheca scudetti e Champions League. Appare dunque segnato il destino dell’allenatore, salvato apparentemente soltanto da un contratto da cinquanta milioni di euro fino al 2025. Ma qualcosa sta per cambiare.
Le opinabili indagini che interessano la società bianconera costringono infatti l’intero CdA alle dimissioni, chiudendo in questo modo la lunga presidenza di Andrea Agnelli. È Allegri adesso l’unico uomo al comando, la figura che garantisce stabilità e sicurezza alla rosa, consentendole di inanellare una striscia record di otto vittorie consecutive mentre si abbatte sulle zebre lo tsunami giudiziario. Da sicuro partente, il mago Max riesce a strappare non solo la fiducia della nuova dirigenza, ma anche un ruolo da manager all’inglese che lo trasforma in plenipotenziario dell’area tecnica della prima squadra, un ruolo inimmaginabile solo poche settimane prima. Una montagna russa durata quasi due mesi, che ha cambiato per sempre il destino del tecnico e della Juventus, pronta adesso ad affrontare con maggiori sicurezza le sfide che le riserverà il futuro.