Massimiliano Allegri è sbarcato alla Juventus a luglio del 2014 tra la contestazione dei tifosi. Il 15 luglio Antonio Conte si dimette al secondo giorno di ritiro estivo, Marotta, Agnelli e Nedved devono scegliere in fretta e puntano tutto sull’allenatore che pochi mesi prima il Milan aveva allontanato. I tifosi la prendono malissimo, lo accolgono con cori, insulti e anche qualche sputo verso il pullman bianconero. Scene che non si vedono spesso in una piazza sì ben abituata, ma anche rispettosa delle scelte societarie, perché alla fine quello che conta è il responso del campo.\r\n\r\nChe Allegri non avesse nemmeno la metà della “rabbia” di Antonio Conte era un dato di fatto: troppo diversi i due per poterli paragonare, ma sta di fatto che dopo essere entrato a Vinovo in punta di piedi, il toscano ha pian piano conquistato la fiducia un po’ di tutti. Stile impeccabile, mai una parola fuori posto, per qualcuno era semplicemente il “perfetto aziendalista”, ma i giudizi affrettati non sono mai quelli giusti. Prima ha continuato sulla via tracciata dal suo predecessore con il 3-5-2, poi ha via via cambiato modulo adattandolo agli avversari che di volta in volta si andavano ad affrontare. La Juve di Allegri è parsa sin da subito meno rabbiosa ma più razionale e calcolatrice. “Non serve per forza urlare per imporsi”, ha detto l’ex tecnico del Milan a chi gli faceva notare di alzare poco la voce.\r\n
\r\nIl primo anno è stato a dir poco fantastico: con una squadra considerata da molti ormai logora, sono arrivati il quarto scudetto consecutivo, la decima coppa Italia e la finale di Champions League. Poi è arrivato il mercato estivo 2015 e gli osservatori esterni hanno parlato di squadra smantellata: via Pirlo, Vidal, Tevez, Llorente e Coman, si riparte da zero con la prospettiva di tornare a vincere nel giro di un paio d’anni. L’inizio di stagione conferma questa teoria e dopo 6 giornate la Juventus si ritrova con soli 5 punti: mai nessuno, dopo un inizio così, è riuscito ad entrare tra le prime tre della Serie A a fine anno. Si sono celebrati funerali un po’ da ogni parte, anche in una fetta ampia della tifoseria, mentre Allegri continuava a predicare calma e ad attendere dicembre per commentare la classifica.\r\n
\r\nSettimana dopo settimana, Allegri si conferma un ottimo psicologo, fa crescere i nuovi arrivati e seppur criticate, le scelte di formazione sul campo cominciano a dargli ragione. Dall’utilizzo centellinato di Dybala, a quello di Alex Sandro, passando per il modulo. Senza il trequartista, lo spogliatoio comincia a propendere per il ritorno al 3-5-2, il tecnico è intelligente e va incontro ai giocatori per tornare a volare. Arrivano 15 vittorie consecutive (18 con la Coppa Italia), frantumando il record precedente di 13 detenuto da Antonio Conte, ma soprattutto un primato in classifica sul quale nessuno avrebbe scommesso un centesimo. È un primato che conferma la solidità di un gruppo e di una società unica italiana all’avanguardia come le big d’Europa sotto tutti i punti di vista. È un primato in cui c’è molto di Allegri: è vero, la Juve storicamente rende grandi gli allenatori, ma nel loro sacco deve esserci tanta farina per poter sopportare la pressione che c’è per sedersi su quella panchina. E Allegri ha dimostrato di averne da vendere. Piaccia o non piaccia. E i top club europei, non lo cercano di cerco per puro caso…