Agiotaggio informativo: assolti Grande Stevens e Gabetti

Il tribunale di Torino ha assolto Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e Virgilio Marrone dall’accusa di aggiotaggio perché «il fatto non sussiste». I tre manager di Ifil e Ifi erano accusati di aggiotaggio informativo per aver nascosto alla Borsa, secondo l’ accusa, l’esistenza di una trattativa con Merril Lynch per utilizzare le azioni Fiat di un equity swap (correva l’anno 2005) allo scopo di mantenere il controllo del Lingotto anche dopo la scadenza del prestito convertendo da tre miliardi contratto con un pool di otto banche. La procura di Torino aveva chiesto per Grande Stevens una condanna a due anni e sei mesi, per Gabetti a due anni e per Marrone a un anno e sei mesi. Dopo la lettura della sentenza Gabetti era vibilmente emozionato e con gli occhi lucidi. Ai tre imputati sono giunte da subito numerose telefonate di solidarietà. «Non sono sorpreso. Quando si ha la coscienza pulita si ha il dovere di sperare», ha detto Gabetti commentando l’assoluzione. «È una sentenza – ha aggiunto – non su una sola vicenda ma sull’intera mia carriera. E alla mia età è la sentenza di una vita». E Grande Stevens: «Sono contento ma ero certo di avere ragione». «Prendiamo atto della decisione del tribunale, leggeremo le motivazioni e valuteremo con serenità e senza pregiudizi, che non abbiamo mai avuto, quello che sarà corretto fare in base al ruolo che ci compete«. Lo ha detto il procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli, commentando la sentenza di assoluzione nel processo Ifil-Exor. Caselli ha ribadito «la totale identificazione dell’ufficio con la linea di ogni singolo sostituto procuratore» e ricordando di essere stato presente in aula, quando nel gennaio 2010 il pm Giancarlo Avenati Bassi ha fatto la prima requisitoria nel processo chiedendo la condanna per i tre imputati. «È chiaro che mi hanno dato torto ma credo in quello che abbiamo sostenuto in udienza», ha dichiarato il magistrato. «Il tribunale ha accolto la nostra tesi di non rilevanza della condotta rispetto alla fattispecie penale. Era un processo complesso, siamo molto soddisfatti», ha commentato l’avvocato Marco Ferrero, legale di Gabetti. «Il giudice – ha aggiunto Ferrero – ha ritenuto che al di là della falsità o meno del comunicato (diffuso il 24 agosto del 2005 dall’Ifil in risposta a una richiesta della Consob, ndr) questo non ha avuto effetti sul mercato». Nel comunicato l’Ifil informava che non erano allo studio iniziative sul titolo Fiat. Nella nota si leggeva inoltre che l’Ifil intendeva rimanere azionista di riferimento della Fiat.\r\nIn otto righe c’è tutto ciò che per ora si può e si deve sapere: Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Virgilio Marrone, accusati di aggiotaggio informativo sul titolo Fiat, sono stati assolti «perché il fatto non sussiste»; nemmeno l’illecito amministrativo conseguente, contestato ad Ifil Investments spa e alla Giovanni Agnelli e C. sapaz per aver emesso il comunicato del 24 agosto 2005, «sussiste». E’ un’assoluzione ampia, la più ampia. Entro 90 giorni verranno depositate in cancelleria le motivazioni della sentenza pronunciata ieri dal presidente Giuseppe Casalbore. Allora si conoscerà nei dettagli la «lettura» di un processo lungo due anni che tre giudici della prima sezione penale hanno condiviso. «Questo dispositivo chiarisce che si è sbriciolato l’oggetto del processo, cioè la presunta falsità del comunicato che Consob richiese all’allora Ifil», commentano Guido Alleva, avvocato di Marrone, e Paolo Montalenti, professore universitario e consulente della difesa. «Possiamo ragionare se la legge sia fatta bene e debba essere emendata, ma non c’è dubbio che non si poteva, per restare al merito del processo, dar conto di un’iniziativa finché non si fosse materializzata». Ci si riferisce al nodo gordiano attorno al quale si è discusso per tutto questo tempo, con buoni argomenti da entrambe le parti processuali: Ifil aveva o non aveva iniziative allo studio il 24 agosto di cinque anni per mantenere il controllo su Fiat? Le aveva ma non poteva darne conto al mercato, è stato il leit motiv difensivo: c’erano ancora in ballo variabili decisive. A cominciare dall’autorizzazione dei soci dell’accomandita Agnelli, per finire con il parere richiesto alla presidenza di Consob sull’obbligatorietà dell’Opa sul titolo Fiat. L’avvocato Grande Stevens l’ha detto e ridetto nel corso del processo di essersi recato in Consob con quel quesito per sapere se poteva venir meno l’obbligo dell’Opa con l’acquisto di una quota Fiat sufficiente a mantenerne il controllo contestualmente alla scadenza del prestito convertendo del pool di otto banche a Fiat. Grande Stevens ha ricordato nella sua ultima dichiarazione ai giudici di aver agito con un mandato professionale del cui contenuto «ho potuto dar conto solo dopo che il cliente mi ha sciolto dal vincolo di riservatezza». Ed ha affermato che in Consob, giorni prima del comunicato del 24 agosto, erano informati di un’iniziativa per l’acquisto di azioni Fiat, «sapevano persino che la controparte dell’operazione era Merrill Lynch». In Consob non sapevano che si trattava di un’operazione di equity-swap, la scommessa rialzista sul titolo Fiat che l’allora Exor, controllata da Ifil e accomandita Agnelli, aveva sottoscritto con la banca d’affari americana il 26 aprile 2005. L’avvocato Franco Coppi ha insistito insieme con il collega Cesare Zaccone su due punti: «Ciò che non era certo non si poteva comunicare al mercato; comunque l’affermazione, fatta aggiungere da Gabetti, che si intendeva rimanere azionisti di riferimento Fiat poteva bastare ed è bastata alla figura del “ragionevole investitore” per orientarsi sulla contendibilità del titolo». Tutte le altre arringhe difensive, che hanno coinvolto i più giovani difensori dei manager e delle società – da Michele Briamonte a Marco Ferrero, da Cesare Giordanengo ad Alberto Vercelli – hanno sottolineato come «non via stata alterazione sensibile del titolo, presupposto della violazione di legge». Forse decisivi sono stati i periti nel definire, in aula, l’affermazione, sulla volontà di Ifil di rimanere azionista di controllo Fiat, «potenzialmente e moderatamente rialzista». «I giudici mi hanno dato torto» riconosce lealmente il pm Giancarlo Avenati Bassi: «Credo in ciò che ho sostenuto. Non posso dire aprioristicamente che farò ricorso contro la sentenza». Il procuratore capo Gian Carlo Caselli premette: «C’è da parte mia totale identificazione con la linea di ciascun sostituto». Nel merito aggiunge: «Non abbiamo agito con pregiudizi. Aspettiamo di leggere la motivazione della sentenza».\r\n\r\nCredits: La Stampa\r\nFracassi Enrico