Avanti con lo schema Diego
Avanti adagio, a colpi di testa sui calci di punizione di Diego. La formula non porterà la Juve a vincere lo scudetto perché non c’è successo che si costruisca senza un gioco decente ma ha rappezzato i buchi di fiducia che si stavano allargando nelle vesti bianconere e ha permesso di prendere i tre punti a Siena come mercoledì scorso quelli con gli israeliani del Maccabi in Champions. Allora l’inzuccata fu di Chiellini, questa volta ci ha pensato Amauri che in 8 giorni ha segnato due gol, dopo lunga astinenza. È una grande fatica guardare di questi tempi la Juventus, come negli anni Settanta quando si frequentava il cineforum con i film scandinavi in cui impiegavano cinque minuti per sollevare una tazzina da caffè. Il ritmo lentissimo era una scelta intellettuale di quei registi. La quasi immobilità dei bianconeri invece non è un’opzione studiata da Ferrara. Lui lo nega. «Infatti nel secondo tempo ho puntato sulla difesa a tre, che non avevamo mai fatto, e ho deciso le sostituzioni per ottenere più velocità sulle fasce», ha spiegato don Ciro, ammettendo di aver chiesto qualcosa di meglio del languido slow.\r\nA parte il fatto che tutto questo brio ci è sfuggito, ci chiediamo perché la Juve non possa battere fin da subito su cadenze alte e giochi a un livello che persino la squadra peggiore della serie A, il Siena, riesce a reggere e a controbattere. Ferrara dice che è soddisfatto e che questa volta ha visto il bicchiere tutto pieno. Gli auguriamo che, giocando così, potrà ripetere altrettanto dopo aver affrontato l’Inter o il Bordeaux a casa sua. La Juve deve cambiare. Il problema è capire come. Il suo tecnico rimescola formazioni e schemi quasi avesse tra le mani il cubo di Rubik: vede i difetti, cerca le toppe e non risparmia le soluzioni più ardite, vuoi mai che funzionino? Ieri ha azzardato sulla sinistra una linea con De Ceglie davanti a Molinaro, anche per concedere a quest’ultimo una chance che ha fallito. Ma, soprattutto, ha riproposto le due punte. «Non l’ho fatto per accontentare Trezeguet (che dopo la Champions si era detto stupito per una Juve con una punta sola, ndr) – ha spiegato Ferrara -. Sarebbe un suicidio se decidessi in base ai desideri altrui. E comunque bisogna stabilire se la novità fosse la Juve a una punta o la Juve con tre mezzepunte vere, come non si era mai vista».\r\nSi sta ancora a discutere di schemi, quando la zavorra è nella mancanza di ritmo e nei giocatori che sbagliano sistematicamente il passaggio (i terzini esterni) o lo fanno con qualche secondo di ritardo, come Felipe Melo. Se si aggiunge che non si capisce cosa deve fare Diego, a parte piazzare i calci di punizione sulla testa dei compagni, l’idea della Juve come di un cantiere ancora aperto rispecchia la realtà. «Diego è tornato un paio di volte troppo indietro per far partire l’azione ma non sono io a chiederglielo – ha detto Ferrara – Lui deve tenere la posizione in cui diventa più decisivo». Domanda: ma se Diego, l’unico capace di distribuire il gioco quando non c’è Camoranesi, sta davanti, chi è che gli fa arrivare la palla per diventare decisivo? Questa comunque è la direttrice che don Ciro vuole seguire. Fatti suoi.\r\nResta la constatazione che a Siena, contro l’ultima in classifica, contestata dai tifosi che hanno bloccato il pullman della squadra e assediato l’albergo del ritiro per discutere con i giocatori e con Giampaolo, la Juve ha faticato moltissimo per vincere. È vero che ha rischiato di prendere gol soltanto da Ekdal (il giovane svedese di proprietà juventina) sul finire del primo tempo, neutralizzato da una magia di Buffon che gli ha bloccato il pallonetto. Tuttavia ci sembra eccessivo rallegrarsene: contro il Siena, quest’anno, succede a molti di vivere tranquilli. In compenso i bianconeri hanno costruito poco in attacco (privo di Iaquinta, finito in tribuna per un problema muscolare), con Trezeguet sfasato (ha avuto due occasioni in fuorigioco e comunque le ha sbagliate) e con un primo tempo di puro “titoc”. La formula vincente si concentrava nei calci piazzati di Diego per sfruttare le torri. Nel primo tempo il brasiliano serviva Chiellini che metteva fuori di poco; nella ripresa scodellava l’assist del gol ad Amauri. Il guardalinee alzava la bandierina, poi l’abbassava. Bastava ai senesi per ipotizzare un errore. «Ci ha poi spiegato che c’erano tre juventini in fuorigioco ma Amauri era in posizione regolare», ha raccontato Vergassola. Il gol era buono, la Juve meno.\r\n(Marco Ansaldo per La Stampa)