La Cassazione annulla la condanna a Preziosi per frode sportiva
Annullamento della sentenza della Corte di Appello di Genova che aveva confermato tutte le condanne, con rinvio degli atti per un nuovo processo ad una sezione diversa dell’Appello genovese. Il processo di Appello per la frode sportiva legata a Genoa-Venezia del giugno è quindi da rifare. Giustizia è fatta? «Finalmente abbiamo incontrato giudici che ci hanno ascoltato» è il primo commento dell’avvocato Andrea Vernazza del “gruppo” Genoa. Vernazza conferma i tre elementi (intercettazioni, assenza di dolo, legittima difesa) al centro del ricorso vincente e chiosa: «Lo dissi ai pm di Genova Arena e Lari durante le varie discussioni processuali. Ci sono tre gradi di giudizio e, aggiungo oggi, a forza di cercarlo e di insistere…c’è sempre un giudice a Berlino». Enrico Preziosi sente i suoi legali. Il suo “non mollo” torna ad essere di attualità. Ma cinque anni di processi “dopo” spiega: «Commento in “silenzio”. C’è gioia per cosa sta accadendo, ma non è ancora finita. E non potrò mai dimenticare l’amarezza per cosa ho sofferto io e per cosa hanno sofferto i tifosi». Il dispositivo della sentenza arriva in serata dopo che la Procura Generale aveva chiesto il rigetto del ricorso delle difese degli imputati Enrico e Matteo Preziosi, del ds Stefano Capozucca, dell’ex patron del Venezia Franco Dal Cin e l’ex dirigente dei lagunari Giuseppe “Pino” Pagliara. Il dispositivo aiuta già a capire i (quasi) certi elementi sui quali ha ragionato la Cassazione: l’uso delle intercettazioni, la legittima difesa e il dolo. In sostanza il Genoa (Enrico Preziosi) si era mosso anche in modo disordinato come dissero i difensori, perché aveva «percepito di essere al centro di manovre di altri». Ovvero il Torino con la figura di Luigi Gallo (mai comparso nel giudizio sportivo, finito a giudizio solo dopo la sua deposizione durante il processo penale) che ammise in aula quanto lo stesso Secolo XIX aveva anticipato: era stato proprietario del 23% del Torino all’epoca di Franco Cimminelli ed era diventato poi padrone del Venezia. Interessi incrociati e Genoa allarmato da possibile convergenze di interessi e di risultati a discapito dei rossoblù nella corsa promozione finale per la serie A. La tesi difensiva era stata quella dell’avere agito in stato di soggezione o di legittima difesa. I soldi (250mila euro sequestrati in una busta a Pagliara, ufficialmente quota parte per l’acquisto di Maldonado dal Venezia); per la difesa erano un’operazione poco fine di calciomercato, ma lecita. Comunque, anche a volerla “vedere” male, tutto era legato allo stato di necessità dell’evitare di subire “pastette” altrui nel finale di campionato. Quindi, con un’assenza di dolo.\r\n\r\nCredits: Il Secolo XIX\r\nFracassi Enrico – Juvemania.it