La Juventus ridotta ad “una zebra di carta”
L’ondata di freddo gelido e neve che ha imbiancato il rabberciato “stivale” nostrano sembra non essere stata sufficiente a contrastare la prevalenza del colore “nero” di una maglia tanto storica quanto avvilita e ferita nell’orgoglio, in primis quello dei suoi innumerevoli sostenitori. Il sentimento di frustrazione, impotenza, smarrimento, incertezza, incredulità e sdegno prevale e si mescola ovunque con analisi di vario tipo e formulate nei luoghi più disparati, bar, blog, Tv e chi più ne ha più ne metta, come da sacrosanta costituzione calcistica nazional-popolare. Sarebbe fin troppo facile e scontato avvalersi di sentenze del tipo “io l’avevo detto” ma suonerebbe come un avvalersi in realtà della facoltà di non rispondere e visto che in questo Paese se ne abusa già troppo frequentemente, meglio non servirsene. Se invece si provasse a valutare in modo costruttivo per il bene della “Signora” un’ancora di salvezza da quel declino che lo scandalo calciopoli aveva portato fino agli abissi più profondi e da cui con tanta fortuna (direi lo si possa dire a ben donde alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni e che fuga ogni dubbio residuo sulla competenza/capacità delle teste “non pensanti” in seno all’attuale dirigenze bianconera) e grazie alla straordinaria classe e professionalità della cosiddetta vecchia guardia. Probabilmente la disarmante considerazione a cui si giungerebbe, renderebbe incomprensibile una spiegazione di come proprio quando la luce pareva essere tornata a far luccicare le stelle di quei titoli vinti con gloria ed onore, si sia invece assistito al rapido e fragoroso sgretolamento di quella che pare essere ormai solo una “zebra di carta”, tanto per parafrasare Mao. Citare anche lui, forse rende bene l’idea di quanto sia complessa l’intera vicenda: scelte societarie tirate a caso come dadi, giocatori sopravvalutati, scelte tecniche improntate su un passato che non potrà e non deve tornare. Questa società ha troppa storia, troppo blasone per farsi ridurre ai minimi termini, sia che si tratti di tribunali dell’inquisizione guidati da chi non ha mai saputo vincere sul campo semplicemente perché la Juve, quella che tanto si ama, è sempre stata la più forte; sia che si perpetuino ancora questi infausti tentativi di riprodurre, male e senza cognizione, un passato nostalgico unico e per quello irripetibile. Allora forse la risposta, ammesso che ci sia, è quella di guardare avanti con coraggio, puntando sull’esperienza invece che sulla scommessa improvvisata (leggi Benitez e non Ferrara), su un’idea di gioco qualitativo (quello che di positivo c’è in una tale ricostruzione è avere l’occasione di un cambiamento di mentalità radicale) che possa pagare non solo entro i confini nazionali ma anche nell’Europa che conta e dove non possiamo continuare a mancare, inserendo una persona “di campo” (Marino? Marotta?) che faccia tornare questa società ad essere una squadra di calcio e non una polisportiva del ciclismo o un’agenzia di leasing mal celata! Va recuperata la vera juventinità: passione e nobile competenza!