Mughini “Giustizia sportiva al rovinìo”

“Confesso di capirci assai poco di questa sentenza nel processo d’appello contro Antonio Conte che conferma la condanna a dieci mesi pronunciata qualche settimana fa dalla Commissione Disciplinare della Figc. Nessuno sconto per Conte dunque e seppure la “omessa denuncia” dell’allora allenatore del Siena sia stata riconosciuta per una sola delle due partite in questione. Per AlbinoLeffe-Siena e non più per Novara-Siena, la partita di cui il “pentito” Filippo Carobbio aveva detto che Conte era entrato nello spogliatoio annunciando ai suoi giocatori l’inciucio con la squadra avversaria: e dei due casi imputati a Conte era questo il più grave, tanto che qualcuno aveva commentato la condanna in primo grado come benevola per avere configurato ai danni di Conte il reato di “omessa denuncia” e non quello (molto più grave) di “illecito sportivo”. Giampiero Mughini scrive così oggi sul quotidiano ‘Libero’. Il giornalista e tifoso bianconero, come tutti i tifosi bianconeri, non riesce a spiegarsi come mai non ci sia stato uno sconto di pena, neanche di un mese, visto che la sentenza di primo grado era di 9 mesi + 1 per la continuità dell’omessa denuncia.\r\n\r\nPoi Mughini prosegue così nel suo editoriale:\r\n

Cade l’accusa più grave (come ha subito notato Marco Mensurati sul sito de la Repubblica), cade la reiterazione del reato e pur tuttavia restano tutti e dieci i mesi da passare lontano dalla panchina domenicale della Juve. E mentre il vice di Conte, Angelo Alessio, usufruisce lui sì di uno sconto di pena per lo stesso reato, da otto mesi scende a sei. No, ci capisco assai poco. Anzi, ho l’impressione  nettissima che la giustizia sportiva sia al rovinìo, e dire che è chiamata a giudicare i fatti dell’industria del football, un’industria tra le più importanti del Paese e per quello che mette in moto di euro e per quello che mette in moto di emozioni collettive.  A meno di non intendere quella di ieri come una sentenza innanzitutto “politica”, nel senso di una decisione che mirava a non delegittimare oltremisura il pubblico accusatore della Figc Stefano Palazzi. E questo perché nella giustizia sportiva l’accusatore e i giudici appartengono alla stessa etnia, alla stessa tribù, allo stesso corpo professionale. Tanto è vero che nel corso di un processo sportivo non c’è un vero e proprio dibattimento, i testi addotti dalla difesa valgono infinitamente meno dell’eventuale “pentito” su cui poggia l’accusa, il tempo delle mini-udienze scorre rapidamente e bisogna decidere in tutta fretta altro che guardare il video della partita incriminata e da cui risulterebbe che fino all’ultimo minuto Conte vociava a che i suoi giocatori infilzassero gli avversari. No, non c’è tempo per guardare quel video. La parola di Carobbio, l’attendibilità generale del suo racconto, il fatto (e qui sono d’accordo) che il suo racconto antiConte non può essere nato solo e esclusivamente da una frizione fra le due rispettive consorti, tutto questo nel processo sportivo è di per sé una prova, una tegola scaraventata in volto all’imputato. Non mi pare di star ragionando da “tifoso” e dunque come uno convinto in tutti i casi e a ogni costo dell’innocenza di qualcuno che veste i colori della Juve. Sono anzi d’accordo con quanto ha scritto ieri su Libero Tommaso Lorenzini. Che è debole l’ipotesi di un “sergente di ferro” quale Conte che non si avvede di quello che sta succedendo alle sue spalle, e che è stato ammesso da uno dei suoi collaboratori più stretti. Solo che il “non poteva non sapere” è sinonimo di cattiva giustizia. In tutti i campi e in tutti i processi, anche i più drammatici.

\r\nMughini, poi, usa uno dei suoi proverbiali aneddoti per spiegare a quale situazione ci troviamo di fronte:\r\n

Ricordo di essermi trovato una quindicina d’anni fa in un salotto radical-chic in cui qualcuno affermava senza ombra di dubbio che Benito Mussolini “non poteva non sapere” dell’agguato mortale che un gruppo di delinquenti politici della destra francese avrebbe portato ai fratelli Carlo e Nello Rosselli, e dunque che Mussolini era corresponsabile di quel massacro in terra di Francia. Siccome conoscevo i polli che stavano in quel salotto, feci subito notare al mio interlocutore che se uno adopera il “non poteva non sapere” come un criterio dirimente della decisione di giustizia, allora com’è che lui e i suoi amici erano assolutamente convinti che Adriano Sofri non ne sapesse nulla di nulla dell’agguato mortale portato da un commando di Lotta continua al commissario Luigi Calabresi? Se il “non poteva non sapere” vale per Mussolini, allora vale anche per Sofri. E invece no, le questioni di giustizia e di verità sono molto più complesse. E comunque restiamo ad attendere il terzo grado di giustizia, la decisione del Tribunale Arbitrale del Coni. Per adesso, e con il permesso di Zdenek Zeman (grande allenatore ma anche un impagabile cabarettista quando si tratta di lanciare veleno anti-Juve), Conte allenerà la Juve in settimana e guarderà la partita della domenica in tribuna. Buon calcio a tutti.