Moggi: “Che ci faceva Guido Rossi a Madrid? Aspetto ancora spiegazioni da Palombo…”

Due cose ha detto Moratti dell’addio di Mourinho: meno importante quella del «tempismo assai poco splendido», assai più amara la seconda: «Un dialogo diretto non c’è mai stato, nemmeno un tentativo di farmi capire direttamente». Ciò sta a significare che Moratti pensava seriamente che «il rischio non potesse capitare», conoscendo «la serietà dell’uomo», e ne ha ricavato invece una profonda delusione. Il mancato ritorno del tecnico a Milano è stato un altro aspetto di quel difetto di tempismo, e di sicuro ha colpito il presidente dell’Inter. Verrebbe da pensare che non si può avere tutto dalla vita, neanche con i soldi di Moratti che era già pronto a rimpinguare il già ricco contratto del tecnico. Se lo Special One è rimasto a Madrid è per incontrarsi con il Real. Premesso che le lacrime nel dopo Bayern mi sono sembrate sincere, dobbiamo comprendere le motivazioni di questa scelta. Il primo club al mondo per lignaggio e richiamo resta il Real, e tra le molte dichiarazioni di Mou che dovevano far capire a Moratti la piega che le cose stavano prendendo, c’era l’assicurazione a se stesso che prima o poi, al 100%, avrebbe allenato i blancos. Un’occasione più propizia di questa non c’era, il resto è venuto da sé.\r\nL’abbandono del tecnico crea grandi problemi. Mou è stato tutto, allenatore capace e  anche psicologo, consapevole che i risultati non discendono solo dalla forza dell’organico (peraltro fondamentale), ma anche dal modo di governare lo spogliatoio. Ha attirato su di sé tutte le attenzioni, a volte provocandole, talora sbagliando, come nelle manette rivolte a Tagliavento, o nell’evocazione di complotti. Insomma un uomo dal multiforme ingegno, probabilmente impossibile da sostituire se si andasse in cerca di copia conforme. Che sarebbe sbagliato cercare, mentre appare ovvio optare per un allenatore che possa garantire, seppur in termini diversi, eguale spessore. E come ai tempi di Fausto Coppi, quando il cronista gridava «un uomo solo al comando», anche noi, per l’Inter scriviamo «un allenatore solo, Fabio Capello». Dubito però che Moratti possa fare questa scelta, per la questione dello scudetto 2006, che l’attuale ct inglese non ha esitato in ogni circostanza a condannare. Già quello scudetto. Ogni tanto siamo portati a credere che possa piovere sul bagnato e magari l’assassino debba tornare sul luogo del delitto. Eppure, che ci faceva Guido Rossi tra i vip portati da Moratti al Bernabeu? Non è l’ennesima dimostrazione di feeling con il famoso giurista, ex  componente del Cda dell’Inter, nominato nel 2006 commissario Figc, che decise autonomamente quell’attribuzione? Riporto la staffilata di Beccantini che nel passaggio di Rossi da commissario a interista vip al Bernabeu, vede «incarnare la cronica ambiguità di un Paese sospeso tra l’etica e l’etichetta». Se fossi in Moratti farei l’impossibile per trattenere Mou: la sua partenza riporterebbe sicuramente l’Inter “sulla terra”, non più imbattibile. E ricomincerebbe la parabola noiosa di chi, non essendo più invincibile (Moratti), addosserebbe agli avversari la colpa delle mancate vittorie sempre con la solita scusante di trovarsi davanti ad “un muro”. Per citare Vincenzo Ricchiuti: «Il Muro del Pianto». Niente di più azzeccato. Credo che non ci sia sportivo alcuno che non abbia apprezzato la superiorità dell’Inter sul Bayern e la meritata conquista della Champions. Ma se è vero come è vero che bisogna saper perdere, è anche vero che bisogna saper vincere. Il club dovrebbe sentire il dovere di fare qualcosa sulla nuova “impresa” di Materazzi, già protagonista negativo della maschera di Berlusconi indossata per il derby e dello striscione volgare contro Ambrosini per lo scudetto 2009. Sono intanto e sempre in attesa che Palazzo di vetro, al secolo Ruggiero Palombo, mi dica qualcosa sulle frequentazioni anomale del redattore della Gazzetta Maurizio Galdi con l’indagine di Calciopoli. Come dice Ju29ro, la domanda è d’obbligo: «Si chiede se, per la Gazzetta, e per l’Ordine dei giornalisti sia stato normale il comportamento di Galdi, se sia altresì normale che a scrivere la cronaca delle udienze del processo Calciopoli, a Napoli, non sia un giornalista super partes, ma chi ha fatto una scelta di campo collaborando con una delle tre parti in causa, ovvero l’accusa».\r\n\r\n(Di Luciano Moggi per ‘Libero’)