I tre rebus della Juventus di Ferrara

POCA PERSONALITA’ – Non basta acquistare grandi giocatori per formare una grande squadra. E non basta nemmeno avere il passato di una grande squadra per spaventare gli avversari. Al di là delle scelte dell’allenatore e del  rendimento dei giocatori, c’è  una qualità che spesso fa la differenza, soprattutto in campo internazionale: la personalità. E la personalità non si può comperare, come chiederebbe lo storico presidente del Catania, Massimino, deciso a prendere l’amalgama. La personalità si ha o non si ha, e questa squadra purtroppo non ce l’ha, o non ancora. Un difetto che ci eravamo permessi di sottolineare proprio in occasione della prima trasferta europea aMonaco, dove una Juventus troppo passiva si era accontentata di gestire «uno 0-0 poco esaltante», senza provare a vincere, o almeno ad aggredire quello che allora era un piccolo Bayern in piena crisi. Guarda caso, si trattò della prima gara senza gol della stagione, masoprattutto della sesta senza vittoria in Europa. Un indizio seguito dal black out di Bordeaux, dove persino Ferrara ebbe l’onestà di ammettere che era mancata la personalità. Anche se il primo a doverla trasmettere ai giocatori dovrebbe essere proprio l’allenatore. Perché certe gare si incominciano a vincere fuori.

TROPPI CAMBI – Alzi la mano chi saprebbe identificare il modulo e soprattutto i giocatori della Juventus-base.

Premesso che le varianti tattiche sono una risorsa e non un limite, come insegna il c.t. campione del mondo Lippi, maestro delle sostituzioni in corsa e tra una gara e l’altra, una squadra nuova come la Juventus dovrebbe avere una fisionomia precisa sulla quale poi operare uno o più cambi, in base alle assenze o alle caratteristiche degli avversari.

La Juventus di Ferrara, invece, sembra un cantiere sempre aperto, in campionato e in coppa. In 21 gare ufficiali (15 in Italia, 6 in Europa) i bianconeri sono scesi in campo 12 volte con il 4-3-1-2; 7 con il 4-2-3-1; 1 a testa con il 4-4-2 e il 4-1-3-2. È vero che gli infortuni condizionano anche il modulo, ma la mancanza di identità tattica condiziona soprattutto i giocatori. Se Platini, che era già Platini, ha impiegato sei mesi per esplodere in una squadra abituata a vincere, non si può pretendere che Diego risolva tutti i problemi con la bacchetta magica, giocando a volte come  trequartista dietro due punte, altre in linea con due esterni dietro un solo attaccante. Il tutto con un continuo, ed eccessivo, turnover che spesso premia o castiga chi ha giocato bene o male l’ultima partita. Ma così si rischia di navigare a vista, senza riuscire a guardare (e arrivare) lontano.

EQUILIBRIO PRECARIO SENZA SISSOKO – Ci sono due numeri che inchiodano la Juventus a gravi responsabilità: quelli dei gol subiti, sia in campionato (16) sia in Champions (7), in entrambi i casi più di 1 a partita. Escluso il problema del portiere, visto che Buffon è al di sopra di ogni sospetto, si può discutere sullo scarso contributo in fase difensiva degli esterni, da Caceres a Grygera, da Zebina a Grosso, ma non sul rendimento elevato, o almeno sufficiente, di Chiellini e Cannavaro. Se la Juventus continua a incassare troppi gol, specialmente pensando al passato di Ferrara, la colpa non è, o non è soltanto, del quartetto arretrato. Il segreto delle grandi squadre è l’equilibrio tattico, da cercare soprattutto in mezzo al campo. E allora non basta prendersela con Felipe Melo, comunque al di sotto del rendimento offerto a Firenze, perché se al suo fianco manca il sempre più prezioso Sissoko non serve inserire Camoranesi, oltre a Diego e ad altre due punte. Con una squadra così sbilanciata è inevitabile soffrire, specie contro avversari più forti fisicamente. Ferrara a Monaco aveva inserito Poulsen al posto di Diego, per salvare almeno lo 0-0. L’altra sera ha riprovato la mossa, togliendo Del Piero all’intervallo. Ma davanti c’era un altro Bayern e ormai la frittata era fatta.

(Credits: Gazzetta dello Sport)